venerdì 14 agosto 2009

IN PRINCIPIO ERA IL VERBO ...MEDIATICO


In principio era il verbo mediatico: qualche invasato che diceva di aver sorpreso un extracomunitario che faceva la pipì nell’aiuola comunale o qualche megera nelle vesti di una signora per bene che malediceva i clandestini di tutte le razze e le età; in qualche intervista c’era pure qualche signorina di buona famiglia (?) che paventava, rincasando alle due di notte, un incontro ravvicinato di terzo tipo con qualche essere strano proveniente dall’altro capo del mondo. Poi è venuta questa legge sciagurata delle ronde. Ora c’è il problema di cosa far fare a questi ‘rondisti’ che girano di notte, in completo neo-nazista, e con un grande prurito nelle mani che impugnano delle mazze, e che vorrebbero invece delle calibro 7,65 per potere meglio ‘insegnare l’educazione’ a questi sporcaccioni che stanno rovinando il Nord Italia.

venerdì 31 luglio 2009

UN PUTTAN PARTY A PARIGI

In un locale parigino ha luogo il primo "puttan party all´italiana", con la D´Addario guest star e dedica, non si sa quanto canzonatoria e quanto celebrativa, "a Silvio". Vengono in mente i gadget sulla mafia, e tutta la dubbia allegria che circonda l´italianità deteriore. I lettori dei quotidiani di destra e gli ascoltatori di quasi tutti i telegiornali non lo verranno mai a sapere, ma il mondo sghignazza, e parecchio, sulle festicciole del nostro premier. Al pregiudizio antitaliano non pare vero trovare conferme così autorevoli della fanfaronaggine sessuale del maschio tricolore, cose da film con Buzzanca però trasferite nelle stanze delle istituzioni. Con dettagli che gli sceneggiatori di Buzzanca, per quanto scafati, nemmeno potevano intuire, perché ricambiare la disponibilità di una signorina con la promessa di un seggio europeo, o di qualunque altra carica politica, è cosa che strabilia perfino i più incalliti detrattori del signor B. Nonostante la progressiva abitudine al peggio, ogni volta che ci pensiamo ci viene male e ci viene rabbia, perché italiani anche noi e non disponibili a subire quel cliché umiliante. Ma non possiamo certo biasimare gli stranieri, che non essendo coinvolti possono tranquillamente scegliere, tra il tragico e il ridicolo, il ridicolo.

Michele Serra, la Repubblica 31lug2009

martedì 21 luglio 2009

VUOI RICICLARE ? NON C'E' POBBLEMA !!!


Tu dici ‘scudo fiscale’ e pensi subito allo Stato, che con una spada laser, tipo guerre stellari, si lancia contro i criminali e riciclatori di denaro sporco di tutte le risme. E invece lo Stato questa volta sceglie una spada di latta, come quella con cui si giocava da bambini. Il discorso è semplice. Dunque: “Tu hai soldi sporchi all’estero; bene, io Stato ti faccio il condono, cioè di dico di riportare i soldi in Italia e ti rilascio un bel certificato, in cui si dice che quei soldi sono puliti; io Stato per il disturbo mi prendo solo il 5-10%; pensaci bene perché, se affidi i soldi a una banca che ‘lava’ denaro sporco, gli devi dare minimo il 40%”. Lo Stato dunque diventa un … riciclatore di stato, e, anziché dare la caccia agli evasori dentro e fuori l’Italia (imposizione fiscale di minimo il 40%), e fare guerra a coloro che hanno proventi illeciti (contestazione di reati di mafia e di crimini vari), fa agli uni e agli altri due regali (primo: soldi in Italia e quindi a portata di mano; secondo: non perseguibilità dei reati ascritti). Così vanno le cose, mentre qualche boccalone, guardando il TG1, pensa che con lo ‘scudo fiscale’ entrerà in Italia una somma stratosferica, che metterà fine a tutti i nostri problemi di finanza pubblica e di criminalità organizzata.

giovedì 16 luglio 2009

VU' CUMPRA' IN VATICANO

Sulle frequentazioni del Premier, la Chiesa, com’è noto, in un primo tempo ha reagito, e oggi ne intuiamo il motivo; non solo è intervenuto il prestigioso organo della CEI con le parole di Mons Crociata («Degrado morale e libertinaggio: bisogna reagire») ma anche in vari giornali parrocchiali e diocesani si è notata una «Lettera aperta a Berlusconi: tra confusione e immoralità» e si i sono lette, in questi ultimi mesi, queste frasi: «Basta eccessi e derive, gli italiani chiedono coerenza e sobrietà». «Una privacy che non si può nascondere». «Le vicende che coinvolgono il premier gettano molte ombre sulla credibilità del Paese: speriamo di uscire presto da questa melma». «Il re è nudo?». E’ chiaro che Berlusconi ha avuto paura di perdere l’elettorato cattolico e allora fa al Vaticano una offerta che che non si può rifiutare: una legge urgentissima e ultrabigotta sul fine vita, in cambio di uno smorzamento di toni da parte della Chiesa o addirittura di un ‘Licet’ sulle sue abitudini perverse. Ed ecco che la legge, approvata dal Senato lo scorso 26 marzo, nelle ultime settimane ha avuto una improvvisa e incredibile accelerazione nel percorso verso la Camera. Ben presto si arriverà al rush finale. E allora, alla luce di tutto questo, mi sembra che lo scandalo delle indulgenze ai tempi di Leone X sia un innocente gioco a monopoli rispetto al degrado politico e morale che stiamo vivendo. Per quanto riguarda la Chiesa, forse occorrerebbe che Cristo redivivo, in carne e ossa, entrasse dentro il tempio e, con un lungo scudiscio, ne scacciasse fuori i briganti.

martedì 14 luglio 2009

LA POTEMKIN SUL NAVIGLIO


L’ultima trovata della Lega è che i ‘lumbard’ vogliono una loro Cinecittà, per potere sfornare i loro buoni e autentici ‘cine-panettoni’, ma soprattutto per dare lustro alla loro gloriosa storia di questi ultimi anni, da quando per esempio si è istituita la neo-religione del dio Po, di cui Bossi, nelle vesti di gran sacerdote, è andato a raccogliere l’acqua con una ampolla. Ovviamente verranno messe in soffitta pellicole di attori e registi ‘terroni’ o nati o vissuti nella Roma ladrona come Fellini, Zavattini, Olmi, Soldati e Luchino Visconti, e si realizzeranno capolavori quali ‘Un americano in Brianza’, ‘Polenta, amore e fantasia’ e ‘Ritratto di famiglia a San Babila’; nascerà anche la Nouvelle Vague della Padania, e naturalmente nelle scene d’amore la canzone di sottofondo sarà ‘La bella Gigogì’. Ma la cosa più sorprendente sarà un film in cui, per ridare valore guerresco ai celti padani, si vedranno sul naviglio le grandi manovre della corazzata Potemkin, per dimostrare che il comunista Sergej M. Ejzenstejn era un pirla matricolato e che è ben meritata la battuta del Fantozzi di turno.

mercoledì 17 giugno 2009

GHEDINI FOR EVER


Coloro che si sentono orfani dell’avv. Taormina tirino un sospiro di sollievo; il nuovo astro che sorge nella giurisprudenza italiana si chiama Ghedini, il quale con sussiego tra l’avvocatesco e il politico cita – con la stessa compunzione con cui si recitano pater e gloria – l’innocenza e la buona fede del Capo. Però la sua specializzazione sono le arringhe che meritano il nobel per la brevità, in quanto consistenti di sole tre parole: ‘Ma va là!’, arringa più volte pronunziata davanti a Santoro, che era indeciso se inserirlo nella Nuova Edizione Illustrata del Codice giustinianeo o proporlo come primo relatore all’imminente Congresso internazionale di giurisprudenza. Ma il vero capolavoro del nostro è stato quando, qualche giorno fa, ha accusato l’avvocato di Zappaddu (il fotografo di Villa Certosa) di essere avvocato e al tempo stesso deputato. Quale meraviglia! Rimaniamo a bocca aperta; è come se risuscitasse Manzoni e accusasse Umberto Eco di scrivere romanzi storici. Che maligni quelli che dicono che questa è pura faziosità; io dico che qui siamo davanti al genio puro.

domenica 24 maggio 2009

SINONIMI E CONTRARI


Per il premier e per questa destra a corto di parole e di idee è sempre la stessa solfa: tutti quelli che pensano con la propria testa sono dei ‘comunisti’, con la variante ‘leninisti‘ e ‘stalinisti’; mi piacerebbe che il cavaliere ci dicesse se conosce la differenza fra i tre termini: non dovrebbe essere difficile per lui, dato che nelle sue letture impegnate si spinge fino a Gadamer e Popper. Comunque in questi giorni, dopo la sentenza di Milano, la frase ricorrente in tutti i TG è che questa (il riferimento è alla sentenza del giudice Angus), è una “giustizia a orologeria”. Gli spettatori (quelli che ancora hanno lo “stomaco” di guardare questi TG!) devono sorbirsi questi vacanzieri della politica che commentano, analizzano, disquisiscono e poi, tac, esce fuori sempre questa ‘giustizia a orologeria’. Ma non sarebbe meglio che si portassero dietro, magari istallato nel telefonino, un dizionario dei sinonimi e dei contrari, anziché affliggerci anche con questa assoluta e mortificante povertà, oltre che di intelligenza, anche di …lingua?

sabato 23 maggio 2009

I COMUNISTI SERVONO!


Convinta di non esistere più, la sinistra italiana potrebbe ridarsi animo seguendo quotidianamente le dichiarazioni di Berlusconi. Giudici comunisti, giornalisti comunisti, Parlamento comunista, perfino una moglie comunista: l´Italia vista dal premier sembra la Pietroburgo degli anni Dieci, pullulante di sovversivi. L´indimenticabile Taormina (a proposito: avvocato, ci manca!) in una delle sue innumerevoli cause perse ebbe a individuare addirittura "periti comunisti", capolavoro ineguagliato.
E mentre i comunisti residui si contendono disperatamente il gruzzolo di voti necessario per ottenere il quorum, e la sinistra affranta deve affidarsi al cardinale di Milano per ritrovare un qualche vigore polemico contro la xenofobia, oppure al valoroso democristiano Franceschini per ricordarsi che la popolarità di Berlinguer era due volte quella del premier e dieci volte quella di Bossi, Berlusconi basta da solo, con le sue paranoie da povero perseguitato, a moltiplicare a dismisura il fantasma del comunismo. Intoccato dalle sentenze passate presenti e future, circondato da pretoriani, avvocati, giornalisti di proprietà, adorato da due italiani su cinque, desiderato fisicamente da stuoli di pon-pon girls, potrebbe godersi quel perenne e festoso condono che è la sua vita. Non può farlo – dice – per colpa dei comunisti. Si scopre infine, e non era previsto, che i comunisti servono a qualcosa.


(Michele Serra, laRepubblica 23mag2009)

mercoledì 20 maggio 2009

DOIV'E' LA VERGOGNA


Immerso fino al collo nello scandalo Mills, rispetto al quale le leggi ad personam lo hanno aiutato a fuggire la condanna ma non il disonore, impegnato a lottizzare in fretta e furia la Rai prima delle elezioni, ieri Silvio Berlusconi ha perso la testa insultando "Repubblica". E' successo quando Gianluca Luzi, il nostro notista politico, gli ha chiesto durante una conferenza stampa se e come avrebbe risposto alle dieci domande che gli abbiamo rivolto sul caso del «ciarpame politico» sollevato dalla moglie con la denuncia dei suoi metodi di selezione delle candidate, i suoi comportamenti da «malato» che «frequenta minorenni».
«Vergognatevi», ha intimato il Presidente del Consiglio. Per aver colto le contraddizioni tra le sue versioni dei fatti e quelle degli altri protagonisti della vicenda? Per avergli chiesto di chiarirle? Per aver posto queste domande in pubblico? Per aver rotto il conformismo italiano che è l´altra faccia del cesarismo? O per non aver censurato la denuncia della moglie? Spiace per il premier ma le contraddizioni del potere e le domande che ne nascono sono lo spazio proprio del giornalismo. Che cosa intenda il Capo del governo quando dice che «se Repubblica cambiasse atteggiamento potremmo trovare un accordo» non è chiaro ma è impossibile.
Non cerchiamo «accordi», ma trasparenza. E in ogni caso, non cambieremo atteggiamento anche perché l´imbarazzo di Berlusconi e la sua ira spingono a cercarne le ragioni, come deve fare un giornale. Il premier dovrà rassegnarsi. Non tutto in questo Paese è «arrangiabile», risolvibile con qualche patto oscuro. Se è capace di togliere le sue contraddizioni dal tavolo, lo faccia davanti ai cittadini. Altrimenti, continueremo a dire che non può farlo, e a chiedergli perché.
Per il resto il Presidente del Consiglio ripete la sua invettiva abituale: ora rivendica una dimensione privata, dopo che anche la sua Prima Comunione viene spacciata dai suoi giornali come volantino elettorale. E insiste sull´odio «politico» e l´invidia «personale», come se non fosse possibile la critica dei cittadini che non hanno bisogno di odiarlo e non si sognano nemmeno di invidiarlo, perché gli basta giudicarlo.
«Gli italiani stanno con me, con me» ha urlato alla fine il premier. Intendendo che il numero dei consensi oltre al pieno diritto di governare gli conferisce anche l´immunità da critiche, osservazioni e domande. Non è così in nessun paese democratico, signor Presidente, s´informi, entrando finalmente in Occidente. Ma il fatto che lei lo pensi, per tappare la bocca ai giornali, ci fa davvero vergognare un po´.

(Ezio Mauro, laRepubblica 20mag2009)

domenica 17 maggio 2009

VA IN ONDA LO STATISTA POP

Ormai siamo berlusconizzati a tutto. Perciò, quando lo abbiamo visto affacciarsi alla Nazione dai divani di «Porta a porta» per parlare di un fatto privato come il suo divorzio, sapevamo già che nulla avrebbe potuto stupirci. Nemmeno un tentativo disperato di riconciliazione affidato alla chitarra del maestro Apicella o, al contrario, la firma in diretta di un mandato fiduciario alla sua divorzista Ippolita Ghedini, sorella del Niccolò che lo difende nelle cause penali (quell’uomo è così metodico che ha addestrato un Ghedini per ogni rogna). Invece il Presidente Addolorato, come da sua ultima raffigurazione, ci ha spiazzati ancora una volta, recitando semplicemente se stesso e cioè il primo statista pop che abbia mai calcato il palcoscenico della Storia.

Persino quel simpatico mangiatore di arachidi di Bill Clinton, quando dovette andare in tv a parlare dei fattacci propri, indossò una faccia contrita e atteggiamenti d’eccezione, cercando frasi memorabili che per sua fortuna non trovò. Berlusconi riesce a parlare del terremoto, della moglie e del Milan allo stesso modo, nella stessa sera e a volte nella stessa frase, come se tutto fosse la stessa cosa, perché per lui lo è. Come lo è per milioni di italiani che anche quando non lo amano, lo capiscono, dal momento che Berlusconi, tranne che per il reddito, è identico a loro.

Gli stranieri, basta vedere la Cnn, non riescono a comprendere la nostra mancanza di indignazione. Ma uno può indignarsi dello specchio? Questo è il Paese dove un qualsiasi piccolo imprenditore conclude un affare di miliardi con una mail e intanto scambia via sms una barzelletta sconcia con un amico, mentre al telefono ordina un mazzo di fiori per il compleanno dell’amante. Alto e basso, serietà e cazzeggio, cinismo e lacrima. In contemporanea. Questa è la bassa grandezza d’Italia e chi la vorrebbe diversa rischia di ritrovarsi all’opposizione di se stesso.

In tv Berlusconi si è dipinto per l’italiano medio che è. Un padre troppo impegnato sul lavoro, ma che non si è mai dimenticato delle feste di compleanno dei figli, anzi, le ha «sostenute finanziariamente». Un marito distratto, ma capace di romanticismi occasionali e altamente spettacolari, come quando si travestì da nobile berbero per consegnare un gioiello alla «signora». La quale ora non vuole più saperne di lui solo perché si è fidata dei giornali di sinistra, i quali lo hanno dipinto come un depravato seduttore di minorenni, quando invece le cose sono andate così: Silvio era al Salone del Mobile di Milano, ma è dovuto scappare in anticipo per l’imbarazzo che gli procuravano i cori «Grande grande grande» dei fan. Atterrato a Napoli un’ora prima del previsto, ha ingannato l’attesa andando a farsi scattare quattro foto alla festa di compleanno della figlia di un amico. Se adesso la moglie non gli chiede scusa per aver dubitato della sua probità, lui cosa può farci, se non continuare a volerle «un mare di bene»?

In un mondo così meraviglioso e rassicurante c’è poco spazio per l’autocritica. E quando, nel passaggio più rivelatore della serata, Ferruccio De Bortoli, a nome della borghesia lombarda che fu, gli fa notare che un capo del governo non dovrebbe andare a feste di nozze e compleanni, il Premier del Popolo risponde: «Se non andassi ai matrimoni, rinuncerei a essere me stesso. Io parlo con i camerieri, i tassisti, i commessi. Ho un grandissimo rispetto per le persone umili». Applausi in sala e chissà quanti a casa. Questo divorzio minaccia di essere un altro terremoto: nel senso che, invece di togliergli voti, gliene porterà.

(Massimo Gramellini, La Stampa 6mag2009)

giovedì 14 maggio 2009

SI AL DIALOGO (SOLO!) CON QUESTA DESTRA


L´ultima metamorfosi di Fini...

Filippo Ceccarelli

È ben significativa e densa di novità la fotografia di Fini attorniato da un numeroso gruppo di rappresentanti di organizzazioni omosessuali, e non solo perché sono tutti allegri, a cominciare dal presidente della Camera che mostra un dossier dell´Arcigay e alle spalle ha un quadro raffigurante i palazzi del potere.
Nessuna indagine iconografica può infatti cancellare il ricordo di quanto disse lo stesso Fini, nell´aprile del 1998, sull´inopportunità che un omosessuale «dichiarato» – sublime ipocrisia benpensante! – potesse fare il maestro di scuola. Né si può dimenticare che sempre in quegli anni, sia pure scherzosamente richiesto di dire «qualcosa di destra», l´allora fedele portavoce del leader di An, Storace, se ne uscì, con tanto di mano a imbuto: «A´ froci!».
Bene, ieri i «froci» sono stati gioiosamente ricevuti dal presidente dell´assemblea nel suo ufficio, a Montecitorio; e già questo in fondo basta, «e soverchia» (direbbe Andreotti) a rendere il senso dell´evento: sennonché Fini si è pure riservato il lusso di dargli dei consigli di tecnica, per così dire, politica e procedurale: fate così, non colà, date retta a me, perché allora in quel caso si potrebbe... In ballo com´è ovvio ci sono le coppie di fatto. Ciò che senza tante storie si può e forse si deve definire un diritto civile.
Ora, non è che per questo Fini abbia smesso di essere un leader di destra, anzi della destra. La faccenda a suo modo scabrosa, sia pure in tempi di big bang ideologico, è come qualificare questa destra che è di Fini e non del Pdl, quali aggettivi o sostantivi metterle a fianco, che non siano usurati, o peggio usuranti. Destra dei diritti? Destra repubblicana? Destra sarkozista? Destra costituzionale? Destra riformista?
Una destra, insomma, vattelapesca. E tuttavia, mai come nel caso di Fini l´incertezza lessicale e il vuoto battesimale appaiono già colmati da un pieno impressionante di posizioni che vanno tutte in un unico verso. Da gennaio a oggi: difesa del ruolo del Parlamento, liceità di insegnamento del Corano, attenzione alle ragioni dei laici e dei famigliari nel caso di Eluana Englaro. No ai medici-spia, no ai presidi-spia, no alla metro per i milanesi. Appoggio alla sentenza con cui la Consulta ha bocciato alcune parti della legge 40 sulla fecondazione assistita. Proposito di modifica di alcune parti della legge cosidetta Bossi-Fini.
L´elenco si è quindi allungato al congresso del Pdl con il rifiuto del «pensiero unico», sottinteso berlusconiano, del confessionalismo e dello «Stato etico», sulla legge del fine-vita. Cauto, ma devastante, l´appoggio di Fini all´intemerata della Fondazione FareFuturo sull´arruolamento di belle ragazze e sull´utilizzo elettorale di corpi femminili. Sintomatico, infine, l´invito a non trascurare le responsabilità, anche penali, su come sono stati costruiti certi edifici all´Aquila.
Viene dunque abbastanza normale chiedersi: c´è un disegno? Forse sì, forse no, in questi casi non si va dal notaio. Piuttosto, sembra evidente che questa «destra nuova» – essendo da intendersi «nuova destra» con quella neopagana di Alain de Benoist – ha rigettato o superato un´eredità e al tempo stesso ha individuato un nuovo ciclo politico. Così il patrimonio che Fini si è buttato alle spalle non è tanto il fascismo mussoliniano, che pure tanto attrae il sistema mediatico, quanto il legame con il pensiero classico conservatore, nella variante britannica e social-gollista; ma poi anche, e anzi soprattutto, il bagaglio che alla fine del secolo scorso la destra si è caricata sulle spalle in senso thatcheriano, reaganiano, iper liberista.
È più chiaro insomma quello che non c´è più di quello che è venuto a sostituirlo. Però intanto Fini continua a «menare come un fabbro». L´espressione gli scappò ai margini di un talk-show nel tempo, nemmeno troppo lontano, della grande lite con Berlusconi. Lite rientrata prima delle ultime elezioni politiche, abbastanza misteriosamente per la verità. Il punto è che questa destra ancora senza nome danneggia Berlusconi più di quanto faccia la sinistra. Ne mostra l´inconsistenza, gli toglie il mestiere. Può essere addirittura un problema, l´ennesimo paradosso di una politica che ha perso le sue coordinate.


(Filippo Ceccarelli, laRepubblica 14mag2009))

domenica 10 maggio 2009

IL DITO DI VERONICA

Ma davvero il divorzio del nostro papi-premier non sarebbe “anche” una questione politica? Con i pesanti dubbi sulle sue frequentazioni di minorenne sollevati pubblicamente dalla moglie, che ha segnalato pure una specie di malattia maniacale del suo consorte per le questioni attinenti al sesso? Con lo stesso Berlusconi che sull’argomento fa interviste difensive ai direttori di due grandi quotidiani, mentre i dipietristi gli chiedono in parlamento se le accuse di Veronica “rispondono al vero”e il cattolicissimo l’Avvenire comincia a chiedergli conto della sua vita così poco consona ai valori di cui dovrebbe essere il campione?

E’ una vicenda appassionante proprio sul piano pubblico questa berlusconeide, perchè può diventare una cartina di tornasole di quanto il nostro paese abbia ancora anticorpi per criticare chi comanda, per opporsi ad una politica sempre più in caduta libera verso il puro potere personale. Ed è una storia doppiamente intrigante perchè è intrecciata alle donne e all’uso del loro corpo, lo strumento prediletto di Berlusconi non solo per i privati svaghi ma per spettacolarizzare la vita pubblica e svuotarla di ogni contenuto.In nessun altro paese dell’Occidente è successo così in grande, e con un aiuto così massiccio della Tv (Segnalo a questo proposito un agghiacciante documentario sull’argomento che potete vedere on line, www.ilcorpodelledonne.com). Veronica è la prima che, sia pure per motivi privati, ha provato a suo rischio e pericolo a mettere un dito nell’ingranaggio. Almeno di questo le va reso merito.

In: http://valentini.blogautore.espresso.repubblica.it/2009/05/05/i-meriti-di-veronica/


venerdì 8 maggio 2009

INDECOROSA CONDOTTA


E' con profonda tristezza che scopro di vivere in un paese che non mi piace, circondato da gente che non mi piace, volgare e suddita. Si dice in giro che non vi debbano più essere nemici, ma solo avversari con cui confrontarsi pur nella diversità di opinione. Ma per confrontarsi bisogna avere qualcosa da dirsi, usare un linguaggio comune. Mi chiedo: che cosa mi accomuna a questo signore che ci governa, ossessionato dal suo aspetto e dalla sua potenza sessuale, e con il popolo che lo segue adorante e plaudente? Vedo qualcosa di avvilente nelle private vicende di un anziano e facoltoso signore che finge di essere giovane e "in forma" circondandosi di ragazzine avvenenti e disponibili. E c'è qualcosa di così orribile in questo sciagurato paese che esulta per le avventure dell'anziano signore, solo perché è un potente e lo difende dalla moglie che protesta pubblicamente contro la sua indecorosa condotta. Mi sento estraneo e disgustato.
(Lettera firmata su laRepubblica, 8.5.2009)

giovedì 7 maggio 2009

SINISTRA IN ORDINE SPARSO

Dopo quello che le è accaduto alle ultime elezioni, la sinistra-sinistra si ripresenta divisa alle europee: neo-comunisti da una parte, vendoliani, verdi e mussiani dall´altra (mi scuso se ho dimenticato le briciole). Quasi certo che nessuno dei due schieramenti riuscirà a ottenere il quorum. Quasi certo che, presentandosi uniti, lo otterrebbero. Anche supponendo che tra i due gruppi esistano irriducibili dissensi politici e personali, è semplicemente sbalorditivo che accettino a priori di disperdere i loro voti pur di non federarsi: meglio morire che doversi sopportare a vicenda.
La storia della sinistra (quasi tutta) è in fondo tutta qui. In questo dilaniarsi, distruggersi e autodistruggersi di persone spesso brave e disinteressate, ma del tutto incapaci di rinunciare all´io nel nome del noi. Se ci pensate, è un paradosso spietato. Il campo politico che dovrebbe più e meglio di altri esercitare intenzioni socievoli e spirito collettivo è il più minato dal narcisismo e dal settarismo. Unita, la sinistra-sinistra avrebbe potuto essere un´alternativa al Pd e soprattutto a Di Pietro. Spezzata in due tronconi, non è un´alternativa neanche a se stessa.

(Michele Serra, laRepubblica, 7.5.2009)

sabato 2 maggio 2009

UNA DICIOTTENNE PER SILVIO

L' affare veline ha molti aspetti che meritano attenzione. Per ragioni di spazio ne posso accennare due. Il primo è pubblico. Il presidente del Consiglio ha una convinzione, più volte ribadita, a proposito degli organi parlamentari e di governo: servono a poco, a volte risultano addirittura dannosi: fanno perdere un sacco di tempo. Fin dal primo governo (1994) molti uomini e donne collocati in posizioni chiave erano clamorosamente fuori posto. Per evitare ogni 'ciarpame senza pudore' ricordo un esempio alto: fare ministro per i Rapporti col Parlamento un uomo di scontro in prima linea come Giuliano Ferrara fu un evidente 'miscast'. Durò poco. L'uomo, a parte due o tre posizioni chiave, non bada a funzioni e competenze, riempie caselle, ripaga amiche e amici, soddisfa i suoi capricci. Per il resto conta soprattutto su se stesso divorato com'è dalla sua egolatria. Il risultato è che in quindici anni di vita politica, se si escludono alcuni provvedimenti di 'autotutela', non ha lasciato una sola impronta che possa definirsi non dico storica ma almeno significativa. Poi c'è l'aspetto privato, come minimo ha due facce. La moglie legittima, Veronica Lario, che ormai tratta con irata estraneità. Si deve presumere che solo il futuro patrimoniale e manageriale dei suoi tre figli (i due più grandi sono di un precedente matrimonio) impediscano una separazione definitiva. C'è infine Anna Letizia, mamma della diciottenne Noemi, la quale lancia messaggi ambigui: «Come ho conosciuto il presidente? Non chiedetemelo, per favore. Consentiteci un po' di privacy. Come persona, come famiglia e come madre. Le mie foto? No, non amo darle. Se vuole, può farle uscire lui, papi». Chissà perché Papi anche lei, come sua figlia.
(Corrado Augias, laRepubblica 1.5.2009)

giovedì 23 aprile 2009

Majorettes a Strasburgo

E´ in corso un dibattito politologico: se sia o non sia un sultanato il potere berlusconiano. A giudicare dalla prima pagina di "Libero" di ieri, che pubblicava la foto di un trio di majorettes in bikini sostenendo trattarsi di candidate alle europee provinate da Silvio in persona, il sultanato è un modello di governo decisamente troppo ambizioso, e ben temperato. Accostarlo al berlusconismo è incauto e rischia di offendere qualche potente signore esotico con turbante di zaffiri, portamento elegante e ottima conoscenza della lingua inglese. Bisogna fare uno sforzo (lo dico al professor Sartori) e cercare definizioni più calzanti al clima allegramente dopolavoristico creato da un ricchissimo padrone che ha trasformato la politica e le istituzioni in momento di svago per le sue maestranze. Ex segretarie, signorine buonasera, interi cast televisivi, la popolosa filodrammatica di strada che popola i reality, un catalogo ammirevole di fiche di rappresentanza, portaborse e portacarte, avvocati e commercialisti, lo staff medico al completo dall´otorino al callista, scriba al seguito, cantori e giocolieri di corte, ex nemici acquistati all´ingrosso (asta su E-bay?), barconi affollatissimi di profughi da Hammamet: tutti insieme a Roma e/o Strasburgo, in festosa comitiva. E´ la prima volta nella storia che una gita aziendale diventa classe dirigente.
(Michele Serra, laRepubblica 23.4.2009)

sabato 18 aprile 2009

I SOLITI PORTAVOVE CON LE SOLITE FRASI E PURE NOIOSI


Gesù ma quanto è noioso, questo Capezzone. Non gli si può certo imputare di svolgere mansioni umilianti e ripetitive: è il suo ruolo di portavoce. Deve dire, per contratto, ogni giorno sempre la stessa cosa, che il governo ha ragione e chi non è d´accordo ha torto. Ma lo facesse, almeno, cercando qualche variazione sul tema, qualche aggettivo inconsueto, qualche guizzo umorale. Niente. La fissità del volto (nemmeno l´esplosione di un petardo nelle tasche lo aiuterebbe a cambiare espressione) riflette la monotonia delle parole.
Avrebbe urgente necessità di un autore e di un regista. Che potrebbero perfezionare, per esempio la naturale vocazione di Capezzone al genere noir: già di suo sembra sempre illuminato dal basso, come Bela Lugosi al risveglio nel suo sarcofago. Con pochi tocchi (raso rosso tutto attorno per valorizzare il pallore, testi vigorosamente minacciosi) diventerebbe il primo caso al mondo di portavoce cult. Pronunciando brevi maledizioni, tipo "la terra si spalanchi sotto i piedi dei comunisti", mentre qualche lampo balena alle sue spalle e un refolo di vento gelido gli gonfia il mantello nero. Qualunque cosa, anche un lancio di pipistrelli di gomma da parte del cameraman, pur di salvarci dalla noia.

(Miclele Serra. laRepubblica 18.4.09)

venerdì 17 aprile 2009

APPLAUSI DI DESTRA


Sarà capitato a tutti, ai funerali di una vittima di mafia o di chi è stato vittima di un gravissimo atto di violenza, di notare questa nuova e perversa abitudine: applaudire all’uscita del feretro dalla chiesa o subito dopo il minuto di silenzio o al termine di un discorso commemorativo. Questo applauso, improprio e sciocco, è solo un modo come un altro per allontanare da sé l’idea della morte, il ricordo della violenza, l’atrocità e la bestialità di un delitto. L’applauso oltretutto non agevola la riflessione, la meditazione, i sentimenti, ma si riduce a un gesto compulsivo, senza una precisa valenza etica.

In merito a questa tematica, ecco cosa scrive una acuta ‘penna’ (http://grafomania.blog.kataweb.it/):

L´applauso facilita il lavoro di cavalcamento delle emozioni del politico, lo agevola, lo rende semplice. Fomenta il lavoro di distorsione del messaggio, evita l´analisi dell´accaduto. Le responsabilitá vengono cosí efficacemente ricondotte al caso particolare, al peculiare, al semplice. Il battito di mani salva ed apre carriere politiche. La gente che applaude viene sfruttata, viene sfruttata la sua ignoranza a riguardo dei messaggi che manda attraverso i media. Non sempre é cosí. Esistono ancora, fortunatamente, funerali canonicamente normali, nei quali il protagonismo della folla é assente. La sensibilitá é comune a diversi tratti personali, alle caratteristiche di uomini anche politicamente diversi. Non ci sono funerali di destra e di sinistra, ma é anche vero che, nella maggior parte dei casi, chi applaude ai funerali poi vota, o ha votato, Berlusconi. In questo senso l´atto del battere le mani ai funerali é specchio della nostra Italia. Ai funerali dei morti dell´Aquila e provincia, umanamente, intimamente, la folla piangeva in silenzio. L´effetto folla misura la forza del sentimento di commiato: piú potenza e la veritá del sentimento sono forti, piú si cerca di tenersele per se.

giovedì 16 aprile 2009

NON DISTURBARE!

“Quello che non stupisce è che il terremoto sia diventato una buona scusa per ribadire una volta di più che non si disturba il manovratore. Che il giornalismo dovrebbe fare vedere solo le cose belle (tecnicamente si chiama “propaganda”, allora). E che mettere in dubbio la perfezione della “macchina dei soccorsi” (espressione da abolire insieme a “gara di solidarietà”) è disfattismo. Ma se la macchina dei soccorsi fosse perfetta, l’altro giorno non avrei visto un medico volontario dire che fa dei turni di 16 ore. S-e-d-i-c-i ore. Perché poi magari se dici che non tutto va benissimo sei costretto anche ad ammettere che è perché nessuno aveva approntato nulla nonostante ci fossero gli estremi per stare sul chi vive (e senza radon, che pure è una strada interessante in prospettiva; semplicemente eran mesi che la terra tremava). E allora poi che figura ci facciamo?
Invece, andiamo avanti, tanto siamo bravissimi a metterci una pezza. Se diventassimo più bravi a farci degli sbreghi meno grossi sarebbe una gran conquista.”

In: http://buonipresagi.splinder.com/post/20328642

mercoledì 15 aprile 2009

Siamo un Paese civile?

Non ho visto la puntata di Anno Zero, ne ho solo sentito parlare da amici, quindi non entro nel merito. Mi limito a riferire un recente episodio che dimostra la distanza esistente tra i paesi come il nostro e quelli più avanzati in materia di libertà d'espressione. Il famigerato vescovo lefebvriano Williamson (figura che personalmente ritengo nefasta) ha dato un'intervista alla Tv svedese nella quale ha ribadito le sue tesi negazioniste sull'Olocausto; in particolare sull'inesistenza delle camere a gas come strumento di sterminio. Poiché l'intervista era stata girata in Germania, il Pubblico ministero di Ratisbona ha chiesto alle autorità svedesi di interrogare come teste il giornalista autore del servizio (nella Repubblica federale, com'è noto, il negazionismo è, non a caso, un reato). Il ministro della Giustizia svedese, Göran Lambertz, ha negato l'autorizzazione motivando con parole che stabiliscono un principio: «In Svezia, ha scritto, coloro che sono intervistati in televisione godono della piena libertà di espressione; pochissime le eccezioni e irrilevanti nel caso di specie». Ha aggiunto: «E' un concetto estraneo ad un giornalista svedese, l'idea che gli intervistati possano essere ritenuti responsabili delle opinioni che esprimono. Altresì inimmaginabile che lo stesso giornalista testimoni (forzatamente ndr) su ciò che ha detto o fatto». Posso immaginare le obiezioni e i distinguo rispetto ad Anno Zero e non c'è dubbio che alcune importanti diversità strutturali ci siano. Resta il crisma di una civiltà dell'informazione che noi purtroppo non abbiamo mai conosciuto. Tanto meno oggi.
(Corrado Augias, laRepubblica 15.4.2009)

martedì 14 aprile 2009

NIENTE PREVENZIONE, SIAMO ITALIANI!

E' vero, come è stato scritto più volte in questi giorni, che siamo gente capace di dare il meglio nell'emergenza. Anche vero per contro che il ricordo dell'emergenza svanisce velocemente sia per una certa naturale inclinazione alla spensieratezza sia per precisi interessi che premono in quella direzione. Ogni volta abbiamo sentito ripetere, dopo ogni terremoto, i discorsi di questi giorni. Per fare un esempio, solo il disastro dell'Abruzzo e quelle centinaia di poveri morti ci hanno fatto scoprire che un certo senatore Gabriele Boscetto (Gruppo PdL) ha presentato un emendamento per rinviare di un anno e passa le norme antisismiche per le costruzioni. Emendamento approvato in commissione Affari costituzionali (presidente lo stesso Boscetto) poi in aula, Senato e Camera. L'uomo, intervistato, non ha avuto una parola di rammarico, non un dubbio. Se questa è la visione di un senatore perché sorprendersi del resto? La Protezione civile dovrebbe, a norma di legge, studiare ininterrottamente il territorio censendo i vari rischi (idrogeologico, sismico, industriale, trasporti, ecc.); formare e informare la popolazione comprese le esercitazioni relative; organizzare emergenza e soccorsi (piani ospedalieri, aree di raccolta, tendopoli) eccetera. Tutte queste cose dovrebbero essere fatte con fredda calma, senza il trauma della calamità in atto. Anni fa (gestione Barberi) vennero formati dei direttori dell'emergenza. Poi solo generosità, coraggio, affanno. E i morti.
(Corrado Augias, laRepubblica, 14/4/2009)

domenica 12 aprile 2009

QUALE RAPPORTO FRA DIO E IL MALE DEL MONDO?

...Domanda terribile che affiora già nella Bibbia con la vicenda di Giobbe che, innocente, viene colpito da una serie di sciagure. Unde malum ? Da dove viene il Male, si chiedeva già Tertulliano aggiungendo che si trattava di una di quelle domande «che rendono le persone eretiche». La parola Teodicea venne coniata giustapponendo due lemmi greci Theos (Dio) e Dike (Giustizia). L'occasione fu l'evento tragico e grandioso che, il primo novembre 1755, colpì la città di Lisbona. Un terre e maremoto spaventoso devastò la capitale portoghese ma anche le coste settentrionali dell'Africa e perfino quelle di una parte dell'Europa. Un'onda alta più di dieci metri si abbatté su Lisbona uccidendo migliaia di persone; tra gli altri un gruppo di bambini che s'erano rifugiati sotto un grande crocifisso nella cattedrale. Il crocifisso si staccò dalla parete schiacciandoli. Per teologi e filosofi l'evento fu difficile da spiegare, Voltaire colse l'occasione per sferzare il sistema dell'ottimismo filosofico ( Candide ). Quanto al delicatissimo tema dei miracoli, un altro grande filosofo, Baruch Spinoza già nel XVII secolo aveva scritto ( Breve trattato su Dio ): «Dio, per farsi conoscere agli uomini, non può né deve usare parole o miracoli né alcuna altra cosa creata, ma solo se stesso». È un pregiudizio, concludeva il grande pensatore, sperare che Dio possa sospendere con un "miracolo" le leggi che egli stesso ha assegnato alla natura. Questa è, per chi crede, una visione adulta e coerente. Il resto è infantile superstizione.

(Corrado Augias, laRepubblica 12.4.09)

domenica 5 aprile 2009

LEZIONI DAL G20 DI LONDRA

Il dibattito è aperto, tra economisti e politici, sugli effetti che le misure approvate al summit del G20 di questa settimana a Londra avranno sulla recessione mondiale: risolveranno tutto, sistemeranno qualcosa ma non abbastanza, serviranno a poco? Ma intanto commentatori e politologi concordano su altre conseguenze del vertice, elencando una serie di lezioni che è possibile trarne. Si possono riassumere così. 1) E’ tornato il multilateralismo, dopo otto anni in cui l’America di Bush ambiva a fare tutto da sola (con i risultati che si sono visti, militari, politici, economici). Non solo un problema che una volta sarebbe stato affrontato dal G8 ora è stato affidato a una ventina di paesi e istituzioni, ma Fondo Monetario e Banca Mondiale tornano in primo piano come agenti di qualunque soluzione. E il G20, che si riunirà di nuovo in Giappone entro fine anno, potrebbe diventare un appuntamento annuale per discutere i guai del mondo. 2) Il mercato “ultra-libero” non è più un dogma. L’Occidente non si appresta ad abbandonare il capitalismo, modello peraltro adottato anche dal resto del mondo, ma l’era in cui un alto esponente della sinistra, come Peter Mandelson negli anni di Blair, potva dire “non abbiamo niente in contrario al fatto che qualcuno diventi schifosamente ricco”, ed essere applaudito, sembra tramontata. Regole e controlli sostituiranno il laissez-faire. 3) A volte una singola elezione può fare molto per cambiare una nazione e il mondo: Barack Obama ha conquistato il G20 e l’Europa presentando un nuovo volto dell’America, che è poi quello che gli europei e tutti gli altri preferiscono dal 1945 in poi, la potenza che, senza bisogno di essere sempre “super”, si lascia amare come il paese della libertà, delle opportunità, della giustizia. 4) L’Old Europe, la Vecchia Europa, come la chiamava con disprezzo il segretario alla Difesa Rumsfeld all’epoca della guerra in Iraq, non è in declino, è sempre lì e continua a contare: Francia e Germania sono l’asse che la guida e tutti ne riconoscono il peso. 5) In punta di piedi, senza farsi abbracciare da Berlusconi e senza troppi sorrisi, la Cina ha fatto il suo debutto come potenza del 21esimo secolo sul palcoscenico internazionale. Al summit il suo presidente Hu Jintao ha ripristinato il vecchio motto del presidente americano Teddy Roosvelt: “Speaks softly and carry a big stick”. Sussurra e portati dietro un bastone, che nel suo caso sono un miliardo e 200 milioni di cinesi e l’economia più “calda” del pianeta. 6) Gordon Brown ha dimostrato quale è il ruolo per cui è più portato: quello di ministro del Tesoro di tutto il pianeta. Resta da vedere se il suo successo come ostinato regista di questo summit che voleva salvare il mondo gli servirà a salvare anche se stesso, nelle elezioni dell’anno prossimo in Gran Bretagna. I conservatori sono largamente in testa nei sondaggi. Se il leader laburista vincesse la guerra contro la recessione globale, forse ha una chance di ribaltare il pronostico. Ma non sarebbe la prima volta che un premier britannico vince una guerra contro un nemico spaventoso, per essere poi rimandato a casa dagli elettori: capitò anche a Winston Churchill, dopo aver sconfitto Hitler.
(Enrico Franceschini, http://franceschini.blogautore.repubblica.it/2009/04/04/lezioni-del-g20/)

venerdì 3 aprile 2009

Silvio, la regina e 'Mister Obamaaa...'

Ieri sul web non si cliccava altro e non si parlava d´altro, e non certo per un inedito interesse verso la politica internazionale, ma per il crescente successo dei video da ridere, vero e proprio format mondiale del buffo mediatico. Al sorriso straripante, alle pacche sulle spalle, ai festosi richiami, Silvio Berlusconi ha aggiunto questa volta uno speciale saluto urlato al presidente degli Stati Uniti, «mister Obamaaaaaa», che ha indotto l´anziana regina d´Inghilterra a voltarsi di scatto, con la reale borsetta serrata al fianco, mormorando «what is it?», che roba è questa? Le fonti, tutte autorevoli data la circostanza, si dividono sulla successiva frase della regina: secondo alcuni «ma perché urla?», secondo altri «ma chi è che urla?».Difficilmente gli archivi storici registreranno l´una o l´altra versione. Questo è il solo e fondamentale motivo di consolazione per quella parte di italiani, non quantificabile, che vorrebbe dimenticare l´episodio non tra un mese, un anno, un secolo, ma tra cinque minuti. O meglio ancora, vorrebbe non averlo mai saputo. Quanto alla parte restante della pubblica opinione, non c´è dubbio che troverà spiritosamente informale essere rappresentati all´estero secondo i dettami dell´animazione turistica piuttosto che secondo il protocollo barbogio che regola i rapporti tra capi di Stato e di governo. Ma questo, diciamolo una volta per tutte, è un problema loro e non nostro. Il nostro, oramai annoso, è far capire prima di tutto a noi stessi che la depressione che ci coglie ad ogni berlusconata, sia pure addolcita da un paio di risate (è come Sordi? come Buzzanca? come Boldi?); la depressione che ci coglie, dicevo, non è più, da tempo, un problema politico. Non c´entrano assolutamente niente destra e sinistra, non c´entrano governo e opposizione, non c´entra la tradizionale faziosità italiana. C´entra, eccome, un senso di vero e proprio sgomento identitario, profondissimo, plurisecolare, che ci porta a dire: ma noi italiani, siamo davvero così? Siamo davvero e definitivamente questo teatrino pittoresco, questa ruffianeria ostentata, questo sgomitare furbo alla disperata ricerca di uno che ti risponda e magari, addirittura, ti consideri un suo pari? Perché è esattamente questo che ci ferisce (ammettiamolo: ci ferisce) nel Berlusconi da esportazione: la sensazione che quel continuo soprattono, l´esagerata confidenza che chiede e concede, la ricerca ossessiva di attenzione e di riconoscimento, siano il segno conclamato e forse definitivo di un profondo complesso di inferiorità nazionale. Peggio ancora: se ci mortifica immaginare lo scontato dileggio che altri capi di altri paesi certamente riservano in privato all´uomo che, comunque la si veda, è colui che ci rappresenta nel mondo, non sarà che questa mortificazione discenda da un´errata, illusoria interpretazione di noi stessi? Non sarà che l´invocato stile da classe dirigente, la sperata eleganza, il desiderato senso della misura, la invocata normalità, sono in realtà altrettanti errori di prospettiva, illusioni fragili come fragile (e sconfitta) è stata la nostra borghesia, traguardi smisurati per un paese nella realtà molto più somigliante a quell´anziano cumenda vistosamente tinto che grida «mister Obamaaaa» come in un bar milanese, e esattamente per questo piace nei bar milanesi? E in quale bar ritrovarci, noi altri, dove si conosca e si pratichi la differenza tra il bar stesso (nel quale ci sentiamo a casa nostra) e un vertice mondiale (nel quale entrare con esitante educazione)?
Michele Serra, laRepubblica 3.4.2009)

mercoledì 1 aprile 2009

FUTURISMO, FASCISMO E RIDICOLO

Impazza da un capo all´altro dell´Isola la corsa a organizzare mostre, eventi e tavole rotonde sui cent´anni del futurismo. In prima linea assessori e consiglieri di destra, visibilmente inebriati dall´opportunità di commemorare per una volta intellettuali e artisti non ascrivibili al campo progressista. A Palermo sono anche apparsi manifesti di Azione universitaria che celebrano con enfasi ardente il movimento culturale di Marinetti. Producendo lo stesso effetto straniante che si avrebbe se la Sinistra giovanile affiggesse cartelloni inneggianti al neorealismo. Tra i frutti del bipolarismo all´italiana, possiamo adesso annoverare una buona dose di ridicolo.

(Fabrizio Lentini, laRepubblica PA 1.4.2009)

domenica 29 marzo 2009

LA PERCENTUALE CHE FA SPERARE

Avete notato tutti che al congresso del nuovo Partito del Popolo della libertà, erano tutti in attesa di sapere se i consensi per Silvio avrebbero raggiunto il 100%; la storia però ci insegna che un consenso così plebiscitario fa pensare a quel 99 % e oltre degli austriaci che votarono, nel 1933, l’annessione alla Germania, nulla immaginando che ciò si sarebbe rivelato come la decisione più sciagurata della loro storia; si pensa altresì a quel consenso veramente plebiscitario che accompagnò il Duce per un ventennio ma che portò fortunatamente al ritorno della libertà il 25 Aprile del ‘45. Si sa che se in una votazione, sia essa in un condominio, in un referendum, nel circolo delle Bocce o in congresso di partito, supera il 99% dei voti favorevoli, significa che quella elezione è truccata; si fonda sul Culto della Personalità, che all’inizio regge, ma quasi sempre fa nascere un Bruto. Ma tra questa altissima percentuale di entusiasti al Congresso chi è colui che avrà una salutare crisi di coscienza e si trasformerà nel traditore di colui che prima venerava? Ciò accadrà, perché questa è la storia; infatti neppure Cristo, tra i suoi apostoli, riuscì a raccogliere il 100 per cento dei consensi, dovendosi accontentare di 11 a favore e uno contro, dunque di un modesto 92 per cento.


sabato 28 marzo 2009

La vera carità cristiana

Ho firmato di fronte all’avvocato, con mia moglie, le “volontà dei viventi”, come si chiamano qui negli Stati Uniti, espressione assai migliore di quell’orrenda formula italiana del “testamento biologico” che sembra un incrocio fra un detersivo e una bistecca. Un atto normale e banale, di razionalità e soprattutto di affetto per chi ti vuol bene, senza scandalo, prediche, anatemi, scomuniche. E l’avvocato, che per la verità era un’avvocata, mi ha raccontato una storia curiosa. Nell’ospedale del New Jersey, che per ovvie ragioni non nominerò, dove il marito, avvocato pure lui, presta settimanalmente servizio volontario di assistenza legale gratuita ai pazienti, un uomo molto anziano è caduto in coma profondo da ictus cerebrale e non si trovavano nè famigliari, nè custodi legali, nè testimoni che potessero attestare le sue volontà in caso di non coscienza. E’ intervenuto un prete, il cappellano cattolico di quell’ospedale gestito da una struttura cattolica, non da materialisti negatori mozzateste, per dire spazientito al legale, ai medici, ai dirigenti dell’istituto: “Ma non vedete che questo poveretto è già morto, abbiate pietà di lui”. Dunque è ancora possibile essere cristiani, cattolici, addirittura sacerdoti senza essere disumani.
(Vittorio Zucconi, laRepubblica.it)

venerdì 27 marzo 2009

DE PROFUNDIS

Il mio è un necrologio per la scuola che è morta: nell'abbandono dei suoi edifici, nel grigiore delle pareti delle sue aule, nel tanfo delle sue palestre, nel fetore dei suoi gabinetti. È morta di amarezza, nello squallore delle sue sale dei docenti. Di rancore, nella disillusione dei suoi docenti, nella marginalità del loro ruolo, nell'usura dei loro abiti, nell'indigenza, nell'insulto alle loro persone. Morta di vergogna, nella mancanza di carta igienica, nella povertà dei suoi strumenti, nel decadimento delle sue suppellettili. Di noia, nell'inutilità delle sue riunioni, nell'astrusa insulsaggine dei corsi di aggiornamento. Di disgusto, nell'ipocrisia dei suoi ministri, nell'arroganza dei potenti, nella volgarità della cultura dominante. Morta di invidia, nel confronto con le scuole dei paesi civili. Di indifferenza, nell'incuria dell'opinione pubblica, nell'ignavia degli intellettuali, nel disinteresse dell'informazione. La scuola italiana è morta di rimpianto, nella disillusione per i sogni di chi, almeno per un giorno, ci aveva creduto.

(Lettera firmata, laRepubblica 27.3.2009: leggi qui )


giovedì 26 marzo 2009

SUL TESTAMENTO BIOLOGICO


È in corso una specie di guerra del Vaticano contro, più o meno, il resto del mondo. Una guerra senza armi da fuoco, nella quale però si usano le armi non meno taglienti (moralmente) della dialettica e di concezioni assolutistiche con conseguenze gravi sulla vita delle persone. Al sondaggio pubblicato dal Journal du Dimanche possiamo affiancare quello pubblicato ieri da Repubblica dal quale si vede che la stragrande maggioranza degli italiani, cattolici compresi, sarebbero a favore di un testamento biologico con il quale disporre liberamente del proprio corpo. Anche chi diffida dei sondaggi non può non tener conto che i dati confermano per l'ennesima volta percentuali già in precedenza, e da più parti, accertate. In Italia questo scontro assume purtroppo anche contorni legislativi a proposito dei quali cito un piccolo ma significativo episodio verificatosi ieri in Parlamento. Il senatore Marino ha chiesto in aula al ministro Sacconi e al presidente Schifani di far comparire sul sito del Ministero, quale che sarà il testo finale della Legge sul testamento biologico, tutte le informazioni necessarie per orientare i cittadini. La risposta sarebbe forse stata favorevole se la sottosegretaria Roccella non fosse insorta reclamando a gran voce il "no". No è stato. Quando si arriva al limite di negare ai cittadini le informazioni utili a usufruire di un diritto, è chiaro che si è giunti ad un'atmosfera degna di una dittatura. Di fronte a questo sfacelo i vescovi italiani, dopo aver indirizzato una specie di diktat al Parlamento della Repubblica, non hanno trovato di meglio che alzare la voce contro la Francia. Chiaro che questa "guerra" è il segno della crisi profonda che attraversa la chiesa di fronte alla scristianizzazione del mondo. Altrettanto chiaro però che a farne le spese sono purtroppo i cittadini di questa povera Repubblica.
(Corrado Augias, laRepubblica 26.3.2009)

mercoledì 25 marzo 2009

LEGGI ESQUIMESI PER L'AFRICA

Il colpo d´occhio antropologico sull´assemblea dei vescovi italiani precede di molto ogni giudizio ideologico. Un consesso di soli maschi e di soli anziani. Il sunto perfetto di ciò che rimproveriamo di continuo alla politica e al potere: mantenere a debita distanza le donne e i giovani, con l´evidente aggravante che qui le donne sono istituzionalmente escluse dal sacerdozio, e un giovane per diventare vescovo deve prima smettere di essere giovane.
Il paradosso è che una siffatta composizione del potere, che espelle dal proprio corpo materiale metà dei viventi (le femmine) e la porzione più attiva e longeva della società (i giovani), si ritiene in dovere di pronunciarsi soprattutto su una questione, l´eros, che è certamente più congeniale agli esclusi (giovani e donne) che agli inclusi (maschi anziani tenuti al voto di castità). Non crediamo di mancare di rispetto ai vescovi facendo notare che, così come li si vede nei telegiornali, il primo pensiero è che l´eros non è il loro ramo. E che l´ostinazione con la quale sentenziano in materia appare, vista dall´esterno, davvero autolesionista, per l´inevitabile astrazione dell´approccio e per la conseguente mancanza di simpatia con gli umani. È un po´ come se un parlamento esquimese pensasse di legiferare per un paese africano.
(Michele Serra.laRepubblica 25.3.200)

lunedì 23 marzo 2009

Le donne, gli uomini e l'eterno campionario degli equivoci

Oggi sappiamo che maschi e femmine, identici per intelligenza e capacità, sono diversi soprattutto nel campo erotico. Le donne sanno esprimere molto meglio le proprie emozioni. Gli uomini non si raccontano i propri sentimenti, le proprie esperienze sessuali, i particolari della loro vita quotidiana. Le donne sì, ed inoltre si interessano alla vita intima dei loro conoscenti e dei divi dello spettacolo di cui conoscono amori, divorzi, rapporti coi figli. Gli uomini nulla. Le donne pensano molto all' amore e già a tredici, quattordici anni vanno in estasi per il loro attore preferito. L'uomo, invece quando guarda una donna qualsiasi o una diva pensa essenzialmente al sesso. Infine le donne amano l'amore e, quando si innamorano, diventano più belle, fioriscono. Gli uomini è come se avessero ricevuto un colpo in testa.
I maschi sono attratti dalla bellezza vistosa, che però vedono in modo globale, senza riuscire ad analizzarla. Per eccitarli bastano due gambe accavallate, un seno che sporge, un culetto che si allontana dimenandosi. Anche le donne ammirano la bellezza maschile ma anche la forza, l'audacia, il coraggio, l'intelligenza, la passionalità. Apprezzano sia la personalità globale del maschio di cui colgono la carica vitale, il fascino di una vita vissuta, sia la sua personalità sociale: il successo e il potere. Esse istintivamente rifiutano l'uomo debole, timido, incerto, che striscia. Quando lasciano un uomo e lui le segue piangendo e pregandole di tornare lo disprezzano. Invece un maschio che ha lasciato una donna, se questa piange e lo scongiura, si commuove. Infine nell'erotismo maschile è importantissima la vista, mentre per la donna sono più importanti l'odore, la pelle, il suono, la parola, la musica, le sensazioni cenestesiche, quindi le carezze, l'abbraccio, il modo in cui ti bacia.
Quanti equivoci nascono da queste differenze! Perché gli uomini sono attratti dalle donne che valorizzano il proprio corpo, il proprio erotismo, ma poi le temono, ne sono gelosi, le frenano. Salvo poi correre dietro quella che li seduce civettando. Ma anche le donne fanno lo stesso errore quando vogliono un uomo che ubbidisca ad ogni loro ordine in casa o fuori. Perché, quando sono riuscite a farne il loro servitore, non provano più per lui interesse erotico. E allora vorrebbero un «vero uomo» che sappia tener loro testa, far loro la corte, e che le porti in un luogo romantico a cenare al lume di candela.

(Francesco Alberoni, Corriere della Sera, 23.3.09)

sabato 21 marzo 2009

LO SCARICABARILE

Dopo rom, rumeni, prostitute, fannulloni, bulli, nella politica shining è l´ora dei randagi. Per il governo è automatico: terrorizzare il pubblico invece di governare, additare capri espiatori invece di soluzioni. Col corredo di crudeli imbecilli aizzati ieri contro campi rom, oggi negli avvelenamenti di cani. Sovente i Comuni sono omissivi. Ma come non vedere la dignità ferita nella risposta del sindaco ragusano all´attacco del viceministro sul randagismo: «i Comuni pattumiera istituzionale, a cui si danno poteri ma non risorse». In un film hollywoodiano il presidente diceva: «su questa scrivania termina lo scaricabarile». Da noi lo scaricabarile finisce alla scrivania dell´ultimo impiegato.
(Maurizio Barbato, laRepubblica Palermo 21.3.2009)

giovedì 19 marzo 2009

"PER MEZZO DEI SANTI SI VA..."

Qualche anno fa mi trovavo nella Biblioteca comunale di ***, in Sardegna. Nella sala di lettura fui attirato da un quadro in cui si conservava una lettera autografa di uno dei “padri” del nostro Risorgimento. Riuscii ad avere una copia del documento, la cui trascrizione è la seguente: “Caprera 14 Novembre 79 / Ill.mo Sig. Sindaco / Per quanto da me dipenda farò / quanto lei desidera e spera. / Suo dev.mo / G. Garibaldi” . In calce al documento si legge: “autografo del generale Garibaldi in risposta al telegr.ma del Municipio di *** col quale si raccomanda al Suo / patrocinio la progettata linea di navigazione a vapore lungo la costa occidentale della Sardegna. / *** Giugno 1882/ Il Sindaco / (firma)
Come si vede il settantaduenne “eroe dei due mondi”, ormai in volontario esilio a Caprera (di lì a qualche mese muore), ma formalmente al Parlamento nelle file dei democratici, si ripromette di fare quanto il Sindaco desidera e spera. A me questa sembra tanto somigliante a una “segnalazione” (oggi – vulgariter – ‘raccomandazione’), ma è ancora nell’ambito del bene pubblico e non ha assunto, come oggi, la connotazione del bene privato, della truffa e,in qualche caso, del crimine.

mercoledì 11 marzo 2009

IL PARLAMENTO IN UN BILOCALE DI LUSSO

IL BICAMERALISMO PERFETTO
Con la sua straordinaria capacità di concentrare in poche battute un grande progetto, il presidente del Consiglio ci ha spiegato ieri come intende velocizzare il nostro sistema parlamentare. Basta far votare il capogruppo a nome di tutto il gruppo. I parlamentari semplici potranno parlare, ma non dovranno più prendersi il disturbo di votare. Ora, considerato che la maggioranza avrà presto due soli capigruppo (Pdl e Lega), per far passare una legge basteranno quattro persone: due a Montecitorio e due a Palazzo Madama. E per le votazioni non sarà più necessaria un´enorme aula: basterà una stanzetta, naturalmente con tutti i confort. O magari due: una per il Senato e una per la Camera. Sarà una riforma che lascerà il mondo a bocca aperta, l´Italia che passa dal bicameralismo perfetto al bilocale di lusso.

SEBASTIANO MESSINA (la Repubblica, 11 marzo 200)

martedì 10 marzo 2009

IL CROLLO DELLA SCUOLA PUBBLICA

Spendiamo poco per la scuola, al contrario di quanto afferma il ministro Gelmini che dichiara «siamo tra i primi in Europa». Le statistiche di Eurostat ci piazzano al 21esimo posto avendo dietro di noi solo Grecia, Slovacchia e Romania. Il dato di Eurostat considera tutti i livelli di spesa, locali, regionali e nazionali, comprende istituzioni scolastiche, universitarie nonché le altre istituzioni che fanno funzionare il sistema educativo: ministeri e dipartimenti della pubblica istruzione, servizi, ricerca. I pochi soldi sono però un sintomo, riflettono l'atteggiamento del governo già tristemente sperimentato negli anni 2001-2006. Incuria da una parte, privilegi alla scuola confessionale e di classe. Torna prepotente la profezia di uno dei padri della Repubblica, Piero Calamandrei, verificata nei fatti. Nel febbraio 1950 disse: «Facciamo l'ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l'aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è sempre, perfino sotto il fascismo c'è stata. Allora, il partito dominante segue un'altra strada. Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private». C'è bisogno di aggiungere altro?
(Corrado Augias, laRepubblica 10 marzo 2009)

sabato 7 marzo 2009

LA RUSSA PARLA IN LATINO!


La frase latina Tot capita, tot sententiae (insieme alla variante più corretta Quot capita, tot sententiae e alla vulgata Quot homines, tot sententiae), ci dice che Quanti sono gli uomini, tanti sono i loro giudizi o punti di vista” e deriva dal verso 454 del Phormio del commediografo latino Terenzio. La frase si usa in genere in tono polemico, per deprecare il fatto che, al di là dell’ambito propriamente giuridico - è da sciocchi pensare che qui la ‘sententia’ sia (solo!) quella del giudice -, ognuno la pensa come più gli conviene, non curandosi di una norma comune. Comunque qui non escludo che ciascuno abbia il diritto a esprimere un giudizio suo, individuale, ma è necessario distinguere tra "opinione" e "prevaricazione", oltre al fatto che si deve avere spirito di solidarietà e intelligenza per far sì che prevalga l'opinione migliore per tutti. La prevaricazione di La Russa è sotto gli occhi di tutti, soprattutto per quel giochetto di traduzione maccheronica (‘Tutto capita nelle sentenze’), che, più che il sorriso, lascia in bocca l’amaro di un giudizio sciocco e monco, oltre che frettoloso e ingiurioso, su coloro che amministrano la giustizia.

giovedì 5 marzo 2009

LA FELICE SCEMENZA

In questo periodo, così carico di incognite per la dignità e il salario di milioni di persone, la pubblicità fa uno strano effetto. Ambiguo. Da un lato il suo spensierato invito ai consumi rassicura, come una traccia di normalità: penso che cosa accadrebbe per esempio all´informazione (compreso questo giornale) se la pubblicità dovesse sparire, ingoiata dal cratere della crisi. Dall´altro l´allegra stupidità degli spot, la crapula dorata alla quale ci rinviano, risultano più oscene del solito, come sentire qualcuno che fischietta e ridacchia davanti a un malato, qualcuno che offende il dolore d´altri. Più in generale, del resto, si fa fatica a capire quanto, delle nostre vecchie abitudini, sia da buttare (perché è tra le cause di questo tracollo), e quanto invece sia da conservare, perché ci aiuterà a ripartire. La pubblicità, in questo senso, è il perfetto riassunto del dilemma. La sua invadenza patologica, la sua bulimia concettuale, la sua ipocrisia sociale sono rivoltanti e perfettamente "di regime": il solo vero regime, che è il consumismo.
Ma il suo ottimismo, per quanto fesso, esprime una vitalità e una spinta che rischiamo di dover rimpiangere presto, quando molte delle abitudini contratte negli ultimi cinquant´anni ci sembreranno un remoto lusso: e magari ci dispiacerà non essere stati capaci di goderci un evo di felice scemenza.

(Michele Serra, l'Amaca, Giovedì 5 Marzo 2009)

sabato 28 febbraio 2009

SIMPSON EVER GREEN!

Homer e Bart da ventidue anni in prima serata,

record mondiale di longevità televisiva

Perché i Simpson sono immortali

La Fox ha rinnovato il contratto con Homer e Bart per altri due anni

Lo show creato da Matt Groening ha superato ogni record di longevità

La Fox negli Stati Uniti manda in onda i Simpson dal 1989, tutte le settimane in prima serata. L´altroieri il canale ha firmato il rinnovo del contratto a Matt Groening, il creatore e disegnatore dei Simpson, per altri due anni. Il che porta il totale a ventidue anni. Un record assoluto, nessun programma nella storia della televisione è riuscito a restare in programmazione in prima serata per un tempo così lungo.
I Simpson, per noi fan, sono un classico già da molto tempo. Indiscutibilmente. Che la televisione decida di perpetuare la loro egemonia pop per altri due o dieci o vent´anni è solo la conferma ufficiale di ciò che a noi pareva già ovvio.
Di tutta l´arte di massa di fine Novecento il cartoon di Matt Groenig è una delle poche autentiche gemme. Qualcosa che resterà.
Ora che ha conquistato il titolo di trasmissione da prime-time più longeva nella storia della televisione (dunque nella storia della cultura popolare tout-court), vale la pena riflettere su qualcuno dei meriti "storici" di questo serial: storici nel senso che i Simpson hanno fissato con implacabile precisione la condizione dell´uomo qualunque - americano ma non solo - dell´ultimo paio di generazioni. L´uomo post-ideologico, l´uomo consumatore e televisivo, il suddito medio dell´Impero delle Merci.
Enorme merito di Groenig e del suo staff è aver saputo custodire la loro raffinata intuizione satirica anche dentro la dozzinalità industriale della produzione televisiva. L´intuizione satirica è questa: che in democrazia non è più solo il Potere, sono i cittadini, uno per uno, i depositari dell´errore, i responsabili della sventura. Modernissima chiave, che al riparo dal consolante luogo comune sulla malvagità del Palazzo ha permesso di scaricare sulle spalle dell´anti-eroe Homer quasi tutta la soma satirica. Homer è la quintessenza della bulimia, del conformismo, della pavidità etica: un panzone devoto alla birra (birra e salsicce), schiavo della televisione, vittima della pubblicità, e soprattutto è tonto quanto basta per non rendersene conto.
Migliaia di episodi non sono riusciti ad annacquare o indebolire lo spietato clichè "anti-popolare" dei Simpson, la critica allegra e feroce della mediocrità del consumatore americano e della pochezza delle sue ambizioni. (È facile presumere che negli Usa qualche columnist della destra populista abbia attribuito all´autore dei Simpson lo snobismo degli intellettuali liberal, confondendo una volta di più la desolata precisione dell´analisi con il cinismo dell´analista).
A differenza di Fantozzi, grande maschera nostrana di omino schiacciato dalla storia, Homer non è affatto conscio della sua sventura e della sua subalternità.
Homer è un incosciente, e questo lo rende invulnerabile (come tutte le grandi star dei cartoon). La sua stoltezza crapulona lo preserva dal Male, e non può essere vittima del Sistema perché è lui stesso il Sistema, lui il ricettore entusiasta di qualunque frottola politica e di qualunque truffa mercantile, lui il moltiplicatore acritico dei luoghi comuni e di un way of life goffo e scriteriato.
Perché dunque lo adoriamo? Ovvio: perché i Simpson siamo noi, perché ridendo di loro prendiamo le misure a noi stessi e le distanze da noi stessi. Quella casa, quella famiglia, quella torpidità opposta come sola difesa al bombardamento televisivo, quelle avventure picaresche nel labirinto della contraffazione sociale, dello sfascio ambientale, della menzogna politica, del fanatismo religioso, sono la caricatura esilarante della nostra impotenza.
Ma il mutevole accanimento del sopruso e dell´idiozia attorno a quella cittadina anonima e a quella casa qualunque si scaricano come fulmini nel terreno, e puntata dopo puntata non lasciano traccia. I Simpson sono invulnerabili, la loro animalesca vitalità allude all´immortalità del popolo, non c´è predicatore isterico, speculatore farabutto, idea sbagliata che non esca sconfitta da Springfield, il pozzo nero dove i nostri vizi sociali si concentrano e poi svaniscono, metabolizzati dalla stessa invincibile indolenza di Homer e dei suoi amici.
La vocazione di ogni cartoon a eternare i suoi personaggi funziona, nei Simpson, come un esorcismo non solo contro il tempo, ma anche contro i tempi e la loro degenerazione. I Simpson assorbono come spugne il peggio del nostro mondo ma lo riciclano nella loro micidiale routine quotidiana, spesa al drugstore, giretto in macchina, birretta al bar, tivù sempre accesa. L´epoca passa con i suoi veleni, i suoi crolli di borsa, le sue pazzie ideologiche. I Simpson restano, assaggiano tutto, digeriscono tutto: la pancia di Homer è la nostra assicurazione contro il Male. In prima serata, tutte le sere, speriamo per sempre.

(Michele Serra, laRepubblica, 28 febbraio 2009)

venerdì 20 febbraio 2009

IL COLORE DEL PRECARIATO

Ora che le casse del Comune sono prosciugate, i precari sono diventati figli di nessuno. Anzi, figli di quell´ombra chiamata Orlando che incombe su Palazzo delle Aquile suscitando nostalgie, risentimenti e imbarazzanti confronti. Per Cammarata il «notevole bacino di precari» fu «un colpo al cuore inferto alla città tra il 1986 e il 1998». Gli anni di Orlando, inventore del precariato in nome di un´utopia che contemplava plotoni di disoccupati sottratti all´illegalità e man mano inseriti nel mercato del lavoro attraverso società miste. Poi però i precari hanno ingrossato le proprie file (i 3.200 pip li reclutò il commissario Serio alla vigilia delle elezioni regionali 2001), hanno invaso le aziende comunali rendendole carrozzoni ingovernabili e hanno alterato la libera formazione del consenso con ferrei meccanismi di voto di scambio. Quelli che hanno prodotto i capitribù, i consiglieri di riferimento e una maggioranza inossidabile. Alla quale Cammarata deve la fascia tricolore.
(Fabrizio Lentini, in laRepubblica, 20 Febbraio 2009)

giovedì 12 febbraio 2009

IL CROLLO DEL PONTE

U primu cretinu / si metti a trumma,
e arriva a notizia / comu ‘na bumma
“Cadìu u ponti Oretu” / e i cchiù arditi
dicinu ca ci sunnu / morti e feriti.

Subitu si telefona / o pumperi
pi sapiri si sunnu / cosi veri
e chiddu dici / in manera scrianzata
ca è ‘na cosa foddi, / assurda e ‘nvintata

Ma firria ancora / a notizia cchiù gravi
ca ‘un fu sulu u ponti / a ghiri o funnu
ma ca arrivò puru / a fini d’u munnu.

Ma è mai possibili / ca ’anticchia ‘i nivi
a un ciriveddu / intelligenti e finu
ci fa l’effettu / di ‘na buttigghia ‘i vinu?

12 Febbraio 2008

domenica 8 febbraio 2009

LA FINE DELLA REPUBBLICA


Forse sono diventato ipersensibile, come chiunque, da anni, senta lo stesso vecchio chiodo piantarsi nella stessa vecchia ferita. Ma ogni volta che Berlusconi pronuncia anche una sola parola sulla famiglia Englaro mi sento umiliato dalla sua grossolanità morale. Al consueto effetto dell´elefante nel negozio di porcellane si aggiunge la totale incongruenza tra un argomento così alto e un livello così basso. Specie quando costui osa addentrarsi in dettagli - come dire - fisiologici, che riguardano un corpo inerte e lo strazio quasi ventennale di chi la veglia e la cura, mi si rivolta lo stomaco. Un argomento che anche i filosofi accostano con sorvegliatissima prudenza diventa, in bocca a lui, la ciancia superficiale di un importuno, per giunta dotato di poteri enormi, che in genere agli importuni non vengono affidati.
In questi giorni siamo di fronte a un doloroso strappo istituzionale e costituzionale, ma forse perfino più dolorosi sono gli sgarri verbali che il premier si è concesso, blaterando di gravidanze e di "bell´aspetto". Chissà se, di fronte a questo osceno spettacolo, almeno qualcuno dei suoi elettori ha potuto aprire gli occhi. L´illusione è che esista una soglia oltre la quale finalmente la passione politica si fa da parte, e lascia il posto alla valutazione umana. Non posso credere che essere di destra, oggi in Italia, significhi rassegnarsi a essere rappresentati da uno di quella fatta.

(Michele Serra, laRepubblica 9 Febbraio 2009)

martedì 3 febbraio 2009

CONTRO LE "OSTERIE PADANE"


Un doppio hurrà per l´ex ministro Giuseppe Pisanu, che denuncia le "osterie padane" come nefaste ispiratrici di politiche miopi e ringhiose. Del resto, come potrebbe l´ex segretario personale di Benigno Zaccagnini, cresciuto nel cattolicesimo sociale e solidale, ragionare con il metro piccino e reazionario del leghismo?
Rimane un cruccio. E rimane un mistero. Come è stato possibile, in questi lunghi anni, che fior di democratici abbiano ingoiato l´alleanza politica con il partito dei Gentilini e dei Borghezio? I Pisanu, i Casini, i pochi veri liberali di Forza Italia, i socialisti della diaspora, il neo-repubblicano Fini, come hanno potuto? Va bene il potere, che lusinga e obnubila, va bene la necessità, in governi di coalizione, di chiudere un occhio sulle teste calde e sulle frange estreme. Ma se l´Italia è l´unico paese europeo con il partito xenofobo non solo sdoganato, ma anche solidamente al governo, non è forse anche per le omissioni e l´acquiescenza di quelli come Pisanu? Il "peso condizionante della Lega", che ora Pisanu denuncia come un problema grave, e una zavorra per il futuro, non era forse percepibile anche dieci o quindici anni fa? Dunque a che titolo lamentarsi, adesso, se la politica italiana è dominata "da un clima emotivo che eccita gli istinti più bassi" (ancora Pisanu)?
(Michele Serra, laRepubblica 3.1.09)