venerdì 3 aprile 2009

Silvio, la regina e 'Mister Obamaaa...'

Ieri sul web non si cliccava altro e non si parlava d´altro, e non certo per un inedito interesse verso la politica internazionale, ma per il crescente successo dei video da ridere, vero e proprio format mondiale del buffo mediatico. Al sorriso straripante, alle pacche sulle spalle, ai festosi richiami, Silvio Berlusconi ha aggiunto questa volta uno speciale saluto urlato al presidente degli Stati Uniti, «mister Obamaaaaaa», che ha indotto l´anziana regina d´Inghilterra a voltarsi di scatto, con la reale borsetta serrata al fianco, mormorando «what is it?», che roba è questa? Le fonti, tutte autorevoli data la circostanza, si dividono sulla successiva frase della regina: secondo alcuni «ma perché urla?», secondo altri «ma chi è che urla?».Difficilmente gli archivi storici registreranno l´una o l´altra versione. Questo è il solo e fondamentale motivo di consolazione per quella parte di italiani, non quantificabile, che vorrebbe dimenticare l´episodio non tra un mese, un anno, un secolo, ma tra cinque minuti. O meglio ancora, vorrebbe non averlo mai saputo. Quanto alla parte restante della pubblica opinione, non c´è dubbio che troverà spiritosamente informale essere rappresentati all´estero secondo i dettami dell´animazione turistica piuttosto che secondo il protocollo barbogio che regola i rapporti tra capi di Stato e di governo. Ma questo, diciamolo una volta per tutte, è un problema loro e non nostro. Il nostro, oramai annoso, è far capire prima di tutto a noi stessi che la depressione che ci coglie ad ogni berlusconata, sia pure addolcita da un paio di risate (è come Sordi? come Buzzanca? come Boldi?); la depressione che ci coglie, dicevo, non è più, da tempo, un problema politico. Non c´entrano assolutamente niente destra e sinistra, non c´entrano governo e opposizione, non c´entra la tradizionale faziosità italiana. C´entra, eccome, un senso di vero e proprio sgomento identitario, profondissimo, plurisecolare, che ci porta a dire: ma noi italiani, siamo davvero così? Siamo davvero e definitivamente questo teatrino pittoresco, questa ruffianeria ostentata, questo sgomitare furbo alla disperata ricerca di uno che ti risponda e magari, addirittura, ti consideri un suo pari? Perché è esattamente questo che ci ferisce (ammettiamolo: ci ferisce) nel Berlusconi da esportazione: la sensazione che quel continuo soprattono, l´esagerata confidenza che chiede e concede, la ricerca ossessiva di attenzione e di riconoscimento, siano il segno conclamato e forse definitivo di un profondo complesso di inferiorità nazionale. Peggio ancora: se ci mortifica immaginare lo scontato dileggio che altri capi di altri paesi certamente riservano in privato all´uomo che, comunque la si veda, è colui che ci rappresenta nel mondo, non sarà che questa mortificazione discenda da un´errata, illusoria interpretazione di noi stessi? Non sarà che l´invocato stile da classe dirigente, la sperata eleganza, il desiderato senso della misura, la invocata normalità, sono in realtà altrettanti errori di prospettiva, illusioni fragili come fragile (e sconfitta) è stata la nostra borghesia, traguardi smisurati per un paese nella realtà molto più somigliante a quell´anziano cumenda vistosamente tinto che grida «mister Obamaaaa» come in un bar milanese, e esattamente per questo piace nei bar milanesi? E in quale bar ritrovarci, noi altri, dove si conosca e si pratichi la differenza tra il bar stesso (nel quale ci sentiamo a casa nostra) e un vertice mondiale (nel quale entrare con esitante educazione)?
Michele Serra, laRepubblica 3.4.2009)

Nessun commento: