giovedì 23 aprile 2009

Majorettes a Strasburgo

E´ in corso un dibattito politologico: se sia o non sia un sultanato il potere berlusconiano. A giudicare dalla prima pagina di "Libero" di ieri, che pubblicava la foto di un trio di majorettes in bikini sostenendo trattarsi di candidate alle europee provinate da Silvio in persona, il sultanato è un modello di governo decisamente troppo ambizioso, e ben temperato. Accostarlo al berlusconismo è incauto e rischia di offendere qualche potente signore esotico con turbante di zaffiri, portamento elegante e ottima conoscenza della lingua inglese. Bisogna fare uno sforzo (lo dico al professor Sartori) e cercare definizioni più calzanti al clima allegramente dopolavoristico creato da un ricchissimo padrone che ha trasformato la politica e le istituzioni in momento di svago per le sue maestranze. Ex segretarie, signorine buonasera, interi cast televisivi, la popolosa filodrammatica di strada che popola i reality, un catalogo ammirevole di fiche di rappresentanza, portaborse e portacarte, avvocati e commercialisti, lo staff medico al completo dall´otorino al callista, scriba al seguito, cantori e giocolieri di corte, ex nemici acquistati all´ingrosso (asta su E-bay?), barconi affollatissimi di profughi da Hammamet: tutti insieme a Roma e/o Strasburgo, in festosa comitiva. E´ la prima volta nella storia che una gita aziendale diventa classe dirigente.
(Michele Serra, laRepubblica 23.4.2009)

sabato 18 aprile 2009

I SOLITI PORTAVOVE CON LE SOLITE FRASI E PURE NOIOSI


Gesù ma quanto è noioso, questo Capezzone. Non gli si può certo imputare di svolgere mansioni umilianti e ripetitive: è il suo ruolo di portavoce. Deve dire, per contratto, ogni giorno sempre la stessa cosa, che il governo ha ragione e chi non è d´accordo ha torto. Ma lo facesse, almeno, cercando qualche variazione sul tema, qualche aggettivo inconsueto, qualche guizzo umorale. Niente. La fissità del volto (nemmeno l´esplosione di un petardo nelle tasche lo aiuterebbe a cambiare espressione) riflette la monotonia delle parole.
Avrebbe urgente necessità di un autore e di un regista. Che potrebbero perfezionare, per esempio la naturale vocazione di Capezzone al genere noir: già di suo sembra sempre illuminato dal basso, come Bela Lugosi al risveglio nel suo sarcofago. Con pochi tocchi (raso rosso tutto attorno per valorizzare il pallore, testi vigorosamente minacciosi) diventerebbe il primo caso al mondo di portavoce cult. Pronunciando brevi maledizioni, tipo "la terra si spalanchi sotto i piedi dei comunisti", mentre qualche lampo balena alle sue spalle e un refolo di vento gelido gli gonfia il mantello nero. Qualunque cosa, anche un lancio di pipistrelli di gomma da parte del cameraman, pur di salvarci dalla noia.

(Miclele Serra. laRepubblica 18.4.09)

venerdì 17 aprile 2009

APPLAUSI DI DESTRA


Sarà capitato a tutti, ai funerali di una vittima di mafia o di chi è stato vittima di un gravissimo atto di violenza, di notare questa nuova e perversa abitudine: applaudire all’uscita del feretro dalla chiesa o subito dopo il minuto di silenzio o al termine di un discorso commemorativo. Questo applauso, improprio e sciocco, è solo un modo come un altro per allontanare da sé l’idea della morte, il ricordo della violenza, l’atrocità e la bestialità di un delitto. L’applauso oltretutto non agevola la riflessione, la meditazione, i sentimenti, ma si riduce a un gesto compulsivo, senza una precisa valenza etica.

In merito a questa tematica, ecco cosa scrive una acuta ‘penna’ (http://grafomania.blog.kataweb.it/):

L´applauso facilita il lavoro di cavalcamento delle emozioni del politico, lo agevola, lo rende semplice. Fomenta il lavoro di distorsione del messaggio, evita l´analisi dell´accaduto. Le responsabilitá vengono cosí efficacemente ricondotte al caso particolare, al peculiare, al semplice. Il battito di mani salva ed apre carriere politiche. La gente che applaude viene sfruttata, viene sfruttata la sua ignoranza a riguardo dei messaggi che manda attraverso i media. Non sempre é cosí. Esistono ancora, fortunatamente, funerali canonicamente normali, nei quali il protagonismo della folla é assente. La sensibilitá é comune a diversi tratti personali, alle caratteristiche di uomini anche politicamente diversi. Non ci sono funerali di destra e di sinistra, ma é anche vero che, nella maggior parte dei casi, chi applaude ai funerali poi vota, o ha votato, Berlusconi. In questo senso l´atto del battere le mani ai funerali é specchio della nostra Italia. Ai funerali dei morti dell´Aquila e provincia, umanamente, intimamente, la folla piangeva in silenzio. L´effetto folla misura la forza del sentimento di commiato: piú potenza e la veritá del sentimento sono forti, piú si cerca di tenersele per se.

giovedì 16 aprile 2009

NON DISTURBARE!

“Quello che non stupisce è che il terremoto sia diventato una buona scusa per ribadire una volta di più che non si disturba il manovratore. Che il giornalismo dovrebbe fare vedere solo le cose belle (tecnicamente si chiama “propaganda”, allora). E che mettere in dubbio la perfezione della “macchina dei soccorsi” (espressione da abolire insieme a “gara di solidarietà”) è disfattismo. Ma se la macchina dei soccorsi fosse perfetta, l’altro giorno non avrei visto un medico volontario dire che fa dei turni di 16 ore. S-e-d-i-c-i ore. Perché poi magari se dici che non tutto va benissimo sei costretto anche ad ammettere che è perché nessuno aveva approntato nulla nonostante ci fossero gli estremi per stare sul chi vive (e senza radon, che pure è una strada interessante in prospettiva; semplicemente eran mesi che la terra tremava). E allora poi che figura ci facciamo?
Invece, andiamo avanti, tanto siamo bravissimi a metterci una pezza. Se diventassimo più bravi a farci degli sbreghi meno grossi sarebbe una gran conquista.”

In: http://buonipresagi.splinder.com/post/20328642

mercoledì 15 aprile 2009

Siamo un Paese civile?

Non ho visto la puntata di Anno Zero, ne ho solo sentito parlare da amici, quindi non entro nel merito. Mi limito a riferire un recente episodio che dimostra la distanza esistente tra i paesi come il nostro e quelli più avanzati in materia di libertà d'espressione. Il famigerato vescovo lefebvriano Williamson (figura che personalmente ritengo nefasta) ha dato un'intervista alla Tv svedese nella quale ha ribadito le sue tesi negazioniste sull'Olocausto; in particolare sull'inesistenza delle camere a gas come strumento di sterminio. Poiché l'intervista era stata girata in Germania, il Pubblico ministero di Ratisbona ha chiesto alle autorità svedesi di interrogare come teste il giornalista autore del servizio (nella Repubblica federale, com'è noto, il negazionismo è, non a caso, un reato). Il ministro della Giustizia svedese, Göran Lambertz, ha negato l'autorizzazione motivando con parole che stabiliscono un principio: «In Svezia, ha scritto, coloro che sono intervistati in televisione godono della piena libertà di espressione; pochissime le eccezioni e irrilevanti nel caso di specie». Ha aggiunto: «E' un concetto estraneo ad un giornalista svedese, l'idea che gli intervistati possano essere ritenuti responsabili delle opinioni che esprimono. Altresì inimmaginabile che lo stesso giornalista testimoni (forzatamente ndr) su ciò che ha detto o fatto». Posso immaginare le obiezioni e i distinguo rispetto ad Anno Zero e non c'è dubbio che alcune importanti diversità strutturali ci siano. Resta il crisma di una civiltà dell'informazione che noi purtroppo non abbiamo mai conosciuto. Tanto meno oggi.
(Corrado Augias, laRepubblica 15.4.2009)

martedì 14 aprile 2009

NIENTE PREVENZIONE, SIAMO ITALIANI!

E' vero, come è stato scritto più volte in questi giorni, che siamo gente capace di dare il meglio nell'emergenza. Anche vero per contro che il ricordo dell'emergenza svanisce velocemente sia per una certa naturale inclinazione alla spensieratezza sia per precisi interessi che premono in quella direzione. Ogni volta abbiamo sentito ripetere, dopo ogni terremoto, i discorsi di questi giorni. Per fare un esempio, solo il disastro dell'Abruzzo e quelle centinaia di poveri morti ci hanno fatto scoprire che un certo senatore Gabriele Boscetto (Gruppo PdL) ha presentato un emendamento per rinviare di un anno e passa le norme antisismiche per le costruzioni. Emendamento approvato in commissione Affari costituzionali (presidente lo stesso Boscetto) poi in aula, Senato e Camera. L'uomo, intervistato, non ha avuto una parola di rammarico, non un dubbio. Se questa è la visione di un senatore perché sorprendersi del resto? La Protezione civile dovrebbe, a norma di legge, studiare ininterrottamente il territorio censendo i vari rischi (idrogeologico, sismico, industriale, trasporti, ecc.); formare e informare la popolazione comprese le esercitazioni relative; organizzare emergenza e soccorsi (piani ospedalieri, aree di raccolta, tendopoli) eccetera. Tutte queste cose dovrebbero essere fatte con fredda calma, senza il trauma della calamità in atto. Anni fa (gestione Barberi) vennero formati dei direttori dell'emergenza. Poi solo generosità, coraggio, affanno. E i morti.
(Corrado Augias, laRepubblica, 14/4/2009)

domenica 12 aprile 2009

QUALE RAPPORTO FRA DIO E IL MALE DEL MONDO?

...Domanda terribile che affiora già nella Bibbia con la vicenda di Giobbe che, innocente, viene colpito da una serie di sciagure. Unde malum ? Da dove viene il Male, si chiedeva già Tertulliano aggiungendo che si trattava di una di quelle domande «che rendono le persone eretiche». La parola Teodicea venne coniata giustapponendo due lemmi greci Theos (Dio) e Dike (Giustizia). L'occasione fu l'evento tragico e grandioso che, il primo novembre 1755, colpì la città di Lisbona. Un terre e maremoto spaventoso devastò la capitale portoghese ma anche le coste settentrionali dell'Africa e perfino quelle di una parte dell'Europa. Un'onda alta più di dieci metri si abbatté su Lisbona uccidendo migliaia di persone; tra gli altri un gruppo di bambini che s'erano rifugiati sotto un grande crocifisso nella cattedrale. Il crocifisso si staccò dalla parete schiacciandoli. Per teologi e filosofi l'evento fu difficile da spiegare, Voltaire colse l'occasione per sferzare il sistema dell'ottimismo filosofico ( Candide ). Quanto al delicatissimo tema dei miracoli, un altro grande filosofo, Baruch Spinoza già nel XVII secolo aveva scritto ( Breve trattato su Dio ): «Dio, per farsi conoscere agli uomini, non può né deve usare parole o miracoli né alcuna altra cosa creata, ma solo se stesso». È un pregiudizio, concludeva il grande pensatore, sperare che Dio possa sospendere con un "miracolo" le leggi che egli stesso ha assegnato alla natura. Questa è, per chi crede, una visione adulta e coerente. Il resto è infantile superstizione.

(Corrado Augias, laRepubblica 12.4.09)

domenica 5 aprile 2009

LEZIONI DAL G20 DI LONDRA

Il dibattito è aperto, tra economisti e politici, sugli effetti che le misure approvate al summit del G20 di questa settimana a Londra avranno sulla recessione mondiale: risolveranno tutto, sistemeranno qualcosa ma non abbastanza, serviranno a poco? Ma intanto commentatori e politologi concordano su altre conseguenze del vertice, elencando una serie di lezioni che è possibile trarne. Si possono riassumere così. 1) E’ tornato il multilateralismo, dopo otto anni in cui l’America di Bush ambiva a fare tutto da sola (con i risultati che si sono visti, militari, politici, economici). Non solo un problema che una volta sarebbe stato affrontato dal G8 ora è stato affidato a una ventina di paesi e istituzioni, ma Fondo Monetario e Banca Mondiale tornano in primo piano come agenti di qualunque soluzione. E il G20, che si riunirà di nuovo in Giappone entro fine anno, potrebbe diventare un appuntamento annuale per discutere i guai del mondo. 2) Il mercato “ultra-libero” non è più un dogma. L’Occidente non si appresta ad abbandonare il capitalismo, modello peraltro adottato anche dal resto del mondo, ma l’era in cui un alto esponente della sinistra, come Peter Mandelson negli anni di Blair, potva dire “non abbiamo niente in contrario al fatto che qualcuno diventi schifosamente ricco”, ed essere applaudito, sembra tramontata. Regole e controlli sostituiranno il laissez-faire. 3) A volte una singola elezione può fare molto per cambiare una nazione e il mondo: Barack Obama ha conquistato il G20 e l’Europa presentando un nuovo volto dell’America, che è poi quello che gli europei e tutti gli altri preferiscono dal 1945 in poi, la potenza che, senza bisogno di essere sempre “super”, si lascia amare come il paese della libertà, delle opportunità, della giustizia. 4) L’Old Europe, la Vecchia Europa, come la chiamava con disprezzo il segretario alla Difesa Rumsfeld all’epoca della guerra in Iraq, non è in declino, è sempre lì e continua a contare: Francia e Germania sono l’asse che la guida e tutti ne riconoscono il peso. 5) In punta di piedi, senza farsi abbracciare da Berlusconi e senza troppi sorrisi, la Cina ha fatto il suo debutto come potenza del 21esimo secolo sul palcoscenico internazionale. Al summit il suo presidente Hu Jintao ha ripristinato il vecchio motto del presidente americano Teddy Roosvelt: “Speaks softly and carry a big stick”. Sussurra e portati dietro un bastone, che nel suo caso sono un miliardo e 200 milioni di cinesi e l’economia più “calda” del pianeta. 6) Gordon Brown ha dimostrato quale è il ruolo per cui è più portato: quello di ministro del Tesoro di tutto il pianeta. Resta da vedere se il suo successo come ostinato regista di questo summit che voleva salvare il mondo gli servirà a salvare anche se stesso, nelle elezioni dell’anno prossimo in Gran Bretagna. I conservatori sono largamente in testa nei sondaggi. Se il leader laburista vincesse la guerra contro la recessione globale, forse ha una chance di ribaltare il pronostico. Ma non sarebbe la prima volta che un premier britannico vince una guerra contro un nemico spaventoso, per essere poi rimandato a casa dagli elettori: capitò anche a Winston Churchill, dopo aver sconfitto Hitler.
(Enrico Franceschini, http://franceschini.blogautore.repubblica.it/2009/04/04/lezioni-del-g20/)

venerdì 3 aprile 2009

Silvio, la regina e 'Mister Obamaaa...'

Ieri sul web non si cliccava altro e non si parlava d´altro, e non certo per un inedito interesse verso la politica internazionale, ma per il crescente successo dei video da ridere, vero e proprio format mondiale del buffo mediatico. Al sorriso straripante, alle pacche sulle spalle, ai festosi richiami, Silvio Berlusconi ha aggiunto questa volta uno speciale saluto urlato al presidente degli Stati Uniti, «mister Obamaaaaaa», che ha indotto l´anziana regina d´Inghilterra a voltarsi di scatto, con la reale borsetta serrata al fianco, mormorando «what is it?», che roba è questa? Le fonti, tutte autorevoli data la circostanza, si dividono sulla successiva frase della regina: secondo alcuni «ma perché urla?», secondo altri «ma chi è che urla?».Difficilmente gli archivi storici registreranno l´una o l´altra versione. Questo è il solo e fondamentale motivo di consolazione per quella parte di italiani, non quantificabile, che vorrebbe dimenticare l´episodio non tra un mese, un anno, un secolo, ma tra cinque minuti. O meglio ancora, vorrebbe non averlo mai saputo. Quanto alla parte restante della pubblica opinione, non c´è dubbio che troverà spiritosamente informale essere rappresentati all´estero secondo i dettami dell´animazione turistica piuttosto che secondo il protocollo barbogio che regola i rapporti tra capi di Stato e di governo. Ma questo, diciamolo una volta per tutte, è un problema loro e non nostro. Il nostro, oramai annoso, è far capire prima di tutto a noi stessi che la depressione che ci coglie ad ogni berlusconata, sia pure addolcita da un paio di risate (è come Sordi? come Buzzanca? come Boldi?); la depressione che ci coglie, dicevo, non è più, da tempo, un problema politico. Non c´entrano assolutamente niente destra e sinistra, non c´entrano governo e opposizione, non c´entra la tradizionale faziosità italiana. C´entra, eccome, un senso di vero e proprio sgomento identitario, profondissimo, plurisecolare, che ci porta a dire: ma noi italiani, siamo davvero così? Siamo davvero e definitivamente questo teatrino pittoresco, questa ruffianeria ostentata, questo sgomitare furbo alla disperata ricerca di uno che ti risponda e magari, addirittura, ti consideri un suo pari? Perché è esattamente questo che ci ferisce (ammettiamolo: ci ferisce) nel Berlusconi da esportazione: la sensazione che quel continuo soprattono, l´esagerata confidenza che chiede e concede, la ricerca ossessiva di attenzione e di riconoscimento, siano il segno conclamato e forse definitivo di un profondo complesso di inferiorità nazionale. Peggio ancora: se ci mortifica immaginare lo scontato dileggio che altri capi di altri paesi certamente riservano in privato all´uomo che, comunque la si veda, è colui che ci rappresenta nel mondo, non sarà che questa mortificazione discenda da un´errata, illusoria interpretazione di noi stessi? Non sarà che l´invocato stile da classe dirigente, la sperata eleganza, il desiderato senso della misura, la invocata normalità, sono in realtà altrettanti errori di prospettiva, illusioni fragili come fragile (e sconfitta) è stata la nostra borghesia, traguardi smisurati per un paese nella realtà molto più somigliante a quell´anziano cumenda vistosamente tinto che grida «mister Obamaaaa» come in un bar milanese, e esattamente per questo piace nei bar milanesi? E in quale bar ritrovarci, noi altri, dove si conosca e si pratichi la differenza tra il bar stesso (nel quale ci sentiamo a casa nostra) e un vertice mondiale (nel quale entrare con esitante educazione)?
Michele Serra, laRepubblica 3.4.2009)

mercoledì 1 aprile 2009

FUTURISMO, FASCISMO E RIDICOLO

Impazza da un capo all´altro dell´Isola la corsa a organizzare mostre, eventi e tavole rotonde sui cent´anni del futurismo. In prima linea assessori e consiglieri di destra, visibilmente inebriati dall´opportunità di commemorare per una volta intellettuali e artisti non ascrivibili al campo progressista. A Palermo sono anche apparsi manifesti di Azione universitaria che celebrano con enfasi ardente il movimento culturale di Marinetti. Producendo lo stesso effetto straniante che si avrebbe se la Sinistra giovanile affiggesse cartelloni inneggianti al neorealismo. Tra i frutti del bipolarismo all´italiana, possiamo adesso annoverare una buona dose di ridicolo.

(Fabrizio Lentini, laRepubblica PA 1.4.2009)