sabato 28 febbraio 2009

SIMPSON EVER GREEN!

Homer e Bart da ventidue anni in prima serata,

record mondiale di longevità televisiva

Perché i Simpson sono immortali

La Fox ha rinnovato il contratto con Homer e Bart per altri due anni

Lo show creato da Matt Groening ha superato ogni record di longevità

La Fox negli Stati Uniti manda in onda i Simpson dal 1989, tutte le settimane in prima serata. L´altroieri il canale ha firmato il rinnovo del contratto a Matt Groening, il creatore e disegnatore dei Simpson, per altri due anni. Il che porta il totale a ventidue anni. Un record assoluto, nessun programma nella storia della televisione è riuscito a restare in programmazione in prima serata per un tempo così lungo.
I Simpson, per noi fan, sono un classico già da molto tempo. Indiscutibilmente. Che la televisione decida di perpetuare la loro egemonia pop per altri due o dieci o vent´anni è solo la conferma ufficiale di ciò che a noi pareva già ovvio.
Di tutta l´arte di massa di fine Novecento il cartoon di Matt Groenig è una delle poche autentiche gemme. Qualcosa che resterà.
Ora che ha conquistato il titolo di trasmissione da prime-time più longeva nella storia della televisione (dunque nella storia della cultura popolare tout-court), vale la pena riflettere su qualcuno dei meriti "storici" di questo serial: storici nel senso che i Simpson hanno fissato con implacabile precisione la condizione dell´uomo qualunque - americano ma non solo - dell´ultimo paio di generazioni. L´uomo post-ideologico, l´uomo consumatore e televisivo, il suddito medio dell´Impero delle Merci.
Enorme merito di Groenig e del suo staff è aver saputo custodire la loro raffinata intuizione satirica anche dentro la dozzinalità industriale della produzione televisiva. L´intuizione satirica è questa: che in democrazia non è più solo il Potere, sono i cittadini, uno per uno, i depositari dell´errore, i responsabili della sventura. Modernissima chiave, che al riparo dal consolante luogo comune sulla malvagità del Palazzo ha permesso di scaricare sulle spalle dell´anti-eroe Homer quasi tutta la soma satirica. Homer è la quintessenza della bulimia, del conformismo, della pavidità etica: un panzone devoto alla birra (birra e salsicce), schiavo della televisione, vittima della pubblicità, e soprattutto è tonto quanto basta per non rendersene conto.
Migliaia di episodi non sono riusciti ad annacquare o indebolire lo spietato clichè "anti-popolare" dei Simpson, la critica allegra e feroce della mediocrità del consumatore americano e della pochezza delle sue ambizioni. (È facile presumere che negli Usa qualche columnist della destra populista abbia attribuito all´autore dei Simpson lo snobismo degli intellettuali liberal, confondendo una volta di più la desolata precisione dell´analisi con il cinismo dell´analista).
A differenza di Fantozzi, grande maschera nostrana di omino schiacciato dalla storia, Homer non è affatto conscio della sua sventura e della sua subalternità.
Homer è un incosciente, e questo lo rende invulnerabile (come tutte le grandi star dei cartoon). La sua stoltezza crapulona lo preserva dal Male, e non può essere vittima del Sistema perché è lui stesso il Sistema, lui il ricettore entusiasta di qualunque frottola politica e di qualunque truffa mercantile, lui il moltiplicatore acritico dei luoghi comuni e di un way of life goffo e scriteriato.
Perché dunque lo adoriamo? Ovvio: perché i Simpson siamo noi, perché ridendo di loro prendiamo le misure a noi stessi e le distanze da noi stessi. Quella casa, quella famiglia, quella torpidità opposta come sola difesa al bombardamento televisivo, quelle avventure picaresche nel labirinto della contraffazione sociale, dello sfascio ambientale, della menzogna politica, del fanatismo religioso, sono la caricatura esilarante della nostra impotenza.
Ma il mutevole accanimento del sopruso e dell´idiozia attorno a quella cittadina anonima e a quella casa qualunque si scaricano come fulmini nel terreno, e puntata dopo puntata non lasciano traccia. I Simpson sono invulnerabili, la loro animalesca vitalità allude all´immortalità del popolo, non c´è predicatore isterico, speculatore farabutto, idea sbagliata che non esca sconfitta da Springfield, il pozzo nero dove i nostri vizi sociali si concentrano e poi svaniscono, metabolizzati dalla stessa invincibile indolenza di Homer e dei suoi amici.
La vocazione di ogni cartoon a eternare i suoi personaggi funziona, nei Simpson, come un esorcismo non solo contro il tempo, ma anche contro i tempi e la loro degenerazione. I Simpson assorbono come spugne il peggio del nostro mondo ma lo riciclano nella loro micidiale routine quotidiana, spesa al drugstore, giretto in macchina, birretta al bar, tivù sempre accesa. L´epoca passa con i suoi veleni, i suoi crolli di borsa, le sue pazzie ideologiche. I Simpson restano, assaggiano tutto, digeriscono tutto: la pancia di Homer è la nostra assicurazione contro il Male. In prima serata, tutte le sere, speriamo per sempre.

(Michele Serra, laRepubblica, 28 febbraio 2009)

venerdì 20 febbraio 2009

IL COLORE DEL PRECARIATO

Ora che le casse del Comune sono prosciugate, i precari sono diventati figli di nessuno. Anzi, figli di quell´ombra chiamata Orlando che incombe su Palazzo delle Aquile suscitando nostalgie, risentimenti e imbarazzanti confronti. Per Cammarata il «notevole bacino di precari» fu «un colpo al cuore inferto alla città tra il 1986 e il 1998». Gli anni di Orlando, inventore del precariato in nome di un´utopia che contemplava plotoni di disoccupati sottratti all´illegalità e man mano inseriti nel mercato del lavoro attraverso società miste. Poi però i precari hanno ingrossato le proprie file (i 3.200 pip li reclutò il commissario Serio alla vigilia delle elezioni regionali 2001), hanno invaso le aziende comunali rendendole carrozzoni ingovernabili e hanno alterato la libera formazione del consenso con ferrei meccanismi di voto di scambio. Quelli che hanno prodotto i capitribù, i consiglieri di riferimento e una maggioranza inossidabile. Alla quale Cammarata deve la fascia tricolore.
(Fabrizio Lentini, in laRepubblica, 20 Febbraio 2009)

giovedì 12 febbraio 2009

IL CROLLO DEL PONTE

U primu cretinu / si metti a trumma,
e arriva a notizia / comu ‘na bumma
“Cadìu u ponti Oretu” / e i cchiù arditi
dicinu ca ci sunnu / morti e feriti.

Subitu si telefona / o pumperi
pi sapiri si sunnu / cosi veri
e chiddu dici / in manera scrianzata
ca è ‘na cosa foddi, / assurda e ‘nvintata

Ma firria ancora / a notizia cchiù gravi
ca ‘un fu sulu u ponti / a ghiri o funnu
ma ca arrivò puru / a fini d’u munnu.

Ma è mai possibili / ca ’anticchia ‘i nivi
a un ciriveddu / intelligenti e finu
ci fa l’effettu / di ‘na buttigghia ‘i vinu?

12 Febbraio 2008

domenica 8 febbraio 2009

LA FINE DELLA REPUBBLICA


Forse sono diventato ipersensibile, come chiunque, da anni, senta lo stesso vecchio chiodo piantarsi nella stessa vecchia ferita. Ma ogni volta che Berlusconi pronuncia anche una sola parola sulla famiglia Englaro mi sento umiliato dalla sua grossolanità morale. Al consueto effetto dell´elefante nel negozio di porcellane si aggiunge la totale incongruenza tra un argomento così alto e un livello così basso. Specie quando costui osa addentrarsi in dettagli - come dire - fisiologici, che riguardano un corpo inerte e lo strazio quasi ventennale di chi la veglia e la cura, mi si rivolta lo stomaco. Un argomento che anche i filosofi accostano con sorvegliatissima prudenza diventa, in bocca a lui, la ciancia superficiale di un importuno, per giunta dotato di poteri enormi, che in genere agli importuni non vengono affidati.
In questi giorni siamo di fronte a un doloroso strappo istituzionale e costituzionale, ma forse perfino più dolorosi sono gli sgarri verbali che il premier si è concesso, blaterando di gravidanze e di "bell´aspetto". Chissà se, di fronte a questo osceno spettacolo, almeno qualcuno dei suoi elettori ha potuto aprire gli occhi. L´illusione è che esista una soglia oltre la quale finalmente la passione politica si fa da parte, e lascia il posto alla valutazione umana. Non posso credere che essere di destra, oggi in Italia, significhi rassegnarsi a essere rappresentati da uno di quella fatta.

(Michele Serra, laRepubblica 9 Febbraio 2009)

martedì 3 febbraio 2009

CONTRO LE "OSTERIE PADANE"


Un doppio hurrà per l´ex ministro Giuseppe Pisanu, che denuncia le "osterie padane" come nefaste ispiratrici di politiche miopi e ringhiose. Del resto, come potrebbe l´ex segretario personale di Benigno Zaccagnini, cresciuto nel cattolicesimo sociale e solidale, ragionare con il metro piccino e reazionario del leghismo?
Rimane un cruccio. E rimane un mistero. Come è stato possibile, in questi lunghi anni, che fior di democratici abbiano ingoiato l´alleanza politica con il partito dei Gentilini e dei Borghezio? I Pisanu, i Casini, i pochi veri liberali di Forza Italia, i socialisti della diaspora, il neo-repubblicano Fini, come hanno potuto? Va bene il potere, che lusinga e obnubila, va bene la necessità, in governi di coalizione, di chiudere un occhio sulle teste calde e sulle frange estreme. Ma se l´Italia è l´unico paese europeo con il partito xenofobo non solo sdoganato, ma anche solidamente al governo, non è forse anche per le omissioni e l´acquiescenza di quelli come Pisanu? Il "peso condizionante della Lega", che ora Pisanu denuncia come un problema grave, e una zavorra per il futuro, non era forse percepibile anche dieci o quindici anni fa? Dunque a che titolo lamentarsi, adesso, se la politica italiana è dominata "da un clima emotivo che eccita gli istinti più bassi" (ancora Pisanu)?
(Michele Serra, laRepubblica 3.1.09)