Il dibattito è aperto, tra economisti e politici, sugli effetti che le misure approvate al summit del G20 di questa settimana a Londra avranno sulla recessione mondiale: risolveranno tutto, sistemeranno qualcosa ma non abbastanza, serviranno a poco? Ma intanto commentatori e politologi concordano su altre conseguenze del vertice, elencando una serie di lezioni che è possibile trarne. Si possono riassumere così. 1) E’ tornato il multilateralismo, dopo otto anni in cui l’America di Bush ambiva a fare tutto da sola (con i risultati che si sono visti, militari, politici, economici). Non solo un problema che una volta sarebbe stato affrontato dal G8 ora è stato affidato a una ventina di paesi e istituzioni, ma Fondo Monetario e Banca Mondiale tornano in primo piano come agenti di qualunque soluzione. E il G20, che si riunirà di nuovo in Giappone entro fine anno, potrebbe diventare un appuntamento annuale per discutere i guai del mondo. 2) Il mercato “ultra-libero” non è più un dogma. L’Occidente non si appresta ad abbandonare il capitalismo, modello peraltro adottato anche dal resto del mondo, ma l’era in cui un alto esponente della sinistra, come Peter Mandelson negli anni di Blair, potva dire “non abbiamo niente in contrario al fatto che qualcuno diventi schifosamente ricco”, ed essere applaudito, sembra tramontata. Regole e controlli sostituiranno il laissez-faire. 3) A volte una singola elezione può fare molto per cambiare una nazione e il mondo: Barack Obama ha conquistato il G20 e l’Europa presentando un nuovo volto dell’America, che è poi quello che gli europei e tutti gli altri preferiscono dal 1945 in poi, la potenza che, senza bisogno di essere sempre “super”, si lascia amare come il paese della libertà, delle opportunità, della giustizia. 4) L’Old Europe, la Vecchia Europa, come la chiamava con disprezzo il segretario alla Difesa Rumsfeld all’epoca della guerra in Iraq, non è in declino, è sempre lì e continua a contare: Francia e Germania sono l’asse che la guida e tutti ne riconoscono il peso. 5) In punta di piedi, senza farsi abbracciare da Berlusconi e senza troppi sorrisi, la Cina ha fatto il suo debutto come potenza del 21esimo secolo sul palcoscenico internazionale. Al summit il suo presidente Hu Jintao ha ripristinato il vecchio motto del presidente americano Teddy Roosvelt: “Speaks softly and carry a big stick”. Sussurra e portati dietro un bastone, che nel suo caso sono un miliardo e 200 milioni di cinesi e l’economia più “calda” del pianeta. 6) Gordon Brown ha dimostrato quale è il ruolo per cui è più portato: quello di ministro del Tesoro di tutto il pianeta. Resta da vedere se il suo successo come ostinato regista di questo summit che voleva salvare il mondo gli servirà a salvare anche se stesso, nelle elezioni dell’anno prossimo in Gran Bretagna. I conservatori sono largamente in testa nei sondaggi. Se il leader laburista vincesse la guerra contro la recessione globale, forse ha una chance di ribaltare il pronostico. Ma non sarebbe la prima volta che un premier britannico vince una guerra contro un nemico spaventoso, per essere poi rimandato a casa dagli elettori: capitò anche a Winston Churchill, dopo aver sconfitto Hitler.
(Enrico Franceschini, http://franceschini.blogautore.repubblica.it/2009/04/04/lezioni-del-g20/)
domenica 5 aprile 2009
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