Non ho visto la puntata di Anno Zero, ne ho solo sentito parlare da amici, quindi non entro nel merito. Mi limito a riferire un recente episodio che dimostra la distanza esistente tra i paesi come il nostro e quelli più avanzati in materia di libertà d'espressione. Il famigerato vescovo lefebvriano Williamson (figura che personalmente ritengo nefasta) ha dato un'intervista alla Tv svedese nella quale ha ribadito le sue tesi negazioniste sull'Olocausto; in particolare sull'inesistenza delle camere a gas come strumento di sterminio. Poiché l'intervista era stata girata in Germania, il Pubblico ministero di Ratisbona ha chiesto alle autorità svedesi di interrogare come teste il giornalista autore del servizio (nella Repubblica federale, com'è noto, il negazionismo è, non a caso, un reato). Il ministro della Giustizia svedese, Göran Lambertz, ha negato l'autorizzazione motivando con parole che stabiliscono un principio: «In Svezia, ha scritto, coloro che sono intervistati in televisione godono della piena libertà di espressione; pochissime le eccezioni e irrilevanti nel caso di specie». Ha aggiunto: «E' un concetto estraneo ad un giornalista svedese, l'idea che gli intervistati possano essere ritenuti responsabili delle opinioni che esprimono. Altresì inimmaginabile che lo stesso giornalista testimoni (forzatamente ndr) su ciò che ha detto o fatto». Posso immaginare le obiezioni e i distinguo rispetto ad Anno Zero e non c'è dubbio che alcune importanti diversità strutturali ci siano. Resta il crisma di una civiltà dell'informazione che noi purtroppo non abbiamo mai conosciuto. Tanto meno oggi.
(Corrado Augias, laRepubblica 15.4.2009)
mercoledì 15 aprile 2009
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