In questo periodo, così carico di incognite per la dignità e il salario di milioni di persone, la pubblicità fa uno strano effetto. Ambiguo. Da un lato il suo spensierato invito ai consumi rassicura, come una traccia di normalità: penso che cosa accadrebbe per esempio all´informazione (compreso questo giornale) se la pubblicità dovesse sparire, ingoiata dal cratere della crisi. Dall´altro l´allegra stupidità degli spot, la crapula dorata alla quale ci rinviano, risultano più oscene del solito, come sentire qualcuno che fischietta e ridacchia davanti a un malato, qualcuno che offende il dolore d´altri. Più in generale, del resto, si fa fatica a capire quanto, delle nostre vecchie abitudini, sia da buttare (perché è tra le cause di questo tracollo), e quanto invece sia da conservare, perché ci aiuterà a ripartire. La pubblicità, in questo senso, è il perfetto riassunto del dilemma. La sua invadenza patologica, la sua bulimia concettuale, la sua ipocrisia sociale sono rivoltanti e perfettamente "di regime": il solo vero regime, che è il consumismo.
Ma il suo ottimismo, per quanto fesso, esprime una vitalità e una spinta che rischiamo di dover rimpiangere presto, quando molte delle abitudini contratte negli ultimi cinquant´anni ci sembreranno un remoto lusso: e magari ci dispiacerà non essere stati capaci di goderci un evo di felice scemenza.
(Michele Serra, l'Amaca, Giovedì 5 Marzo 2009)
giovedì 5 marzo 2009
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento